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Cinque opere mancate (purtroppo o per fortuna)

La bellezza salverà il Molo

Il mappale d'epoca: ecco cosa sarebbe potuto succedere

Se è vero che lo spessore di una classe politica si misura dalla capacità di mettere da parte gli interessi personali per aderire ad una causa comune e di saperne cogliere i frutti in prospettiva, non possiamo che meravigliarci, imbattendoci in un articolo della cronaca di Spezia del Tirreno, risalente al 1955, che riporta l’esito della riunione del Consiglio Provinciale in merito a due ordini del giorno.

Il primo riguardava il progetto della realizzazione di un molo, parallelo alla passeggiata Morin, ed unito al Molo Italia all’altezza della prima curva di esso, che avrebbe dovuto avere una lunghezza di circa 300 metri, e l’allungamento del braccio ovest del Molo Garibaldi. Per le opere portuali del golfo, l’allora Ministero dei Lavori Pubblici stanziava circa mezzo miliardo di Lire, una cifra decisamente notevole per gli anni Cinquanta.

Sebbene la costruzione fosse stata presentata come una difesa delle opere portuarie esistenti, tale giustificazione trovava tutti i consiglieri molto scettici. Tuttavia, si doveva fare in modo che l’opposizione alla realizzazione del nuovo Molo non portasse allo storno dello stanziamento, che avrebbe drasticamente privato il porto delle opere necessarie al suo sviluppo.

Mentre il secondo ordine del giorno, prendendo come pretesto il ritorno del cosiddetto “Porticciolo” – di cui ignoro l’ubicazione – all’amministrazione comunale, sottolineava «l’inderogabile necessità» di portare in discussione al Consiglio Provinciale il grosso problema delle servitù militari; tema, quest’ultimo, ancora molto attuale e già urgente settant’anni fa.

Già antifascisti da tempi non sospetti, poi militanti nel Comitato di Liberazione Nazionale e nel Partito d’Azione, i consiglieri del dopoguerra spezzino sono, tra gli altri, Ruggero Gambini (Partito Liberale), Giuseppe Borachia (Democrazia Cristiana), Tommaso Lupi (Partito Comunista) e Pietro Mario Beghi (Partito Socialista), quest’ultimo già orecchiato da tutti coloro che frequentano l’omonima biblioteca.

L’Assessore ai Lavori Pubblici Lupi apriva il confronto rivelando come nelle precedenti riunioni in Camera di Commercio, si fosse delineata una netta opposizione al progetto, anche in relazione al fatto che era inconcepibile lo sviluppo del Porto Mercantile in direzione del centro città anziché verso la zona Migliarina, malgrado il vantaggio di un eventuale sollievo alla disoccupazione. Diverse furono poi le ragioni sostenute dai consiglieri a sfavore dell’attuazione del progetto, ragioni che vanno dall’ordine pratico a quello estetico ed a quello igienico.

Ordine pratico, secondo il parere di Beghi, sarebbe la completa inutilità della costruzione; ordine estetico ed ordine igienico, secondo il parere di Gambini, la deturpazione che ne deriverebbe per il paesaggio e l’inevitabile insabbiamento e relativo inquinamento delle acque comprese nella darsena che si verrebbe a creare tra il molo stesso e la passeggiata Morin, darsena nella quale sfociano alcune delle maggiori fognature cittadine ed i rifiuti delle quali stagnerebbero sullo specchio d’acqua, non più soggette al naturale movimento meccanico delle acque marine.

Borachia, che riportava l’attenzione sull’aspetto finanziario del progetto – il mezzo miliardo di Lire stanziato dal Ministero – proponeva di mantenere lo stanziamento a favore del porto della Spezia, dicendosi, peraltro, d’accordo che il progetto non venga realizzato. Sempre Beghi, sosteneva poi come non ci fossero ragioni di difesa per il porto mercantile, tali da render necessaria la costruzione del molo parallelo in quanto nel golfo non esistono correnti marine tali da richiedere un’opera di tal genere e proprio in quel punto.

E sapendo bene di cosa parlava, avendo egli acquisito esperienza tra i costruttori del Molo Italia, sottolineava ancora il problema dell’insabbiamento dovuto allo scarico delle fogne qualora il molo fosse realizzato, e non ultimo l’aspetto anti-panoramico del progetto. Quanto al Porticciolo il consigliere riassumeva il problema nella concisa frase: «Il Porticciolo è nostro, è stato fatto coi nostri soldi, è stato nostro fino al 1917 e dovrebbe a noi tornare».

Si giungeva così alla votazione dei due ordini del giorno, uno per il molo ed uno per le servitù militari. Nel primo, il Consiglio Provinciale, esprimendo un parere decisamente avverso alla costruzione dell’opera, in quanto lesiva degli interessi della città e degli interessi paesaggistici nazionali, ravvisava l’esigenza di trovare una razionale e definitiva sistemazione sia alle imbarcazioni da diporto che alle organizzazioni sportive e marinara. In relazione a ciò invita Enti pubblici e privati a perorare il ritorno del Porticciolo alla città.

Mentre il secondo ordine del giorno ravvisava la necessità di portare in discussione al Consiglio Provinciale il grosso problema delle servitù militari per realizzare, nel quadro delle possibilità esistenti, il massimo sviluppo delle attività economiche, civili e turistiche della Provincia. I due ordini del giorno furono approvati all’unanimità. E ringraziamo ancora oggi quei politici lungimiranti e coraggiosi, almeno per quanto riguarda la sorte del Molo Italia, noi che fatichiamo ad immaginare una passeggiata Morin ancora più irrespirabile, sia col naso che con l’occhio.

 

Bibliografia essenziale:

La riunione del Consiglio Provinciale. Tutti contrari alla realizzazione del molo parallelo alla banchina Morin, Il Tirreno – 12 dicembre 1955

La Spezia. Volti di un territorio, a cura di Spartaco Gamberini, Editori Laterza / Cassa di Risparmio della Spezia, 1992

 

Altre pubblicazioni:

Un palazzo di giustizia per Piazza Italia

Il vecchio futuro di Piazza Cavour

 

 

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