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Economia

Bere, mangiare e dormire, ma col turismo non si sfama un’intera città

L'indagine di Città della Spezia prende in esame il mondo delle imprese del comune capoluogo: come sono cambiate negli ultimi cinque anni? Al netto della pandemia, la mutazione economica è ancora agli albori ma servono pesi e contrappesi per chi oggi cerca una professione vera, non il 'rimborso spese'. E che non vuole andersene altrove.

Generico ottobre 2021

L’economia turistica offre un contributo ormai necessario alla produzione della ricchezza italiana, figuriamoci alla Liguria e in particolare allo Spezzino dove il settore è sbocciato negli ultimi dieci anni, trovando poi nell’ultimo lustro i primi segni tangibili di un cambiamento che sarà comunque lento e non senza strascichi. Se tuttavia valutassimo l’impatto concreto sull’occupazione diretta e sulle condizioni che essa si porta dietro, diremmo che alla Spezia il turismo è una crisalide che abbisogna di tempo, di un cambio di mentalità e soprattutto di competenza organizzativa: ma almeno, senza giri di parole, il settore ‘gira’ e attrae su di sè le attenzioni degli addetti ai lavori e, seppur con una certa fatica, anche degli imprenditori. Di turismo si può vivere bene ma persino nelle località che hanno fatto della recettività il loro marchio di fabbrica, è missione folle per non dire impossibile che possa, da solo, coprire il fabbisogno occupazionale di una città, come la Spezia, di 100mila abitanti e la sua conurbazione che sale fino a 150mila persone. Questione di spazi ed, evidentemente, di quanti turisti davvero questo territorio può ospitare allo stato attuale dei fatti, cioè considerando le strutture esistenti, che siano essere alberghi, b&b, affittacamere, campeggi o, nel caso di servizi alla ristorazione, il lunghissimo elenco che compone la galassia enogastronomica: dai ristoranti alle trattorie, passando per pizzerie, fast & finger food, bar e caffetterie, birrerie e locali da aperitivo, forni e pasticcerie, e chi più ne ha più ne metta. Che questo campionario di attività sia cresciuto in numero negli ultimi dieci anni non solo lo dicono le statistiche ma lo suggerisce l’occhio di ognuno di noi: chi ha qualche capello bianco, conosce bene il colpo d’occhio degli anni ’80-’90 e probabilmente ricorderà per filo e per segno quali esercizi commerciali lavoravano in Via del Prione e Corso Cavour, gli assi storici del commercio del comune capoluogo, nel frattempo divenute graziose vie di passeggio e, vedendola dal punto di vista dei visitatori, strade pedonali di collegamento con la stazione ferroviaria e le Cinque Terre. Le vie dello struscio hanno subito una vera e propria mutazione: sempre meno negozi di vendita al dettaglio (ci provano solo i franchising ma spesso è roba di mesi), sempre meno agenzie di servizi al cittadino (ad esempio immobiliari o di viaggio), adesso ‘tirano’ e dunque aprono con una certa continuità tutte quelle attività conosciute sotto il cappello del ‘food & beverage’.

Turisti all'Info point di Largo Fiorillo

Il problema è che Spezia non è Rimini e anche la stessa Rimini, che citiamo a titolo d’esempio, non si limita al turismo nonostante numeri nemmeno paragonabili. Il quadro a tinte fosche è facilmente riscontrabile mettendo a paragone la quantità e la tipologie di imprese registrate/attive nel Comune della Spezia negli ultimi cinque anni: le intuizioni di cui sopra sono tutte dimostrate dai numeri che incoronano il turismo ma, per quel che concerne gli altri settori produttivi, registrano soltanto segni negativi o comunque nessuno è cresciuto nell’ultimo lustro. E siccome l’economia turistica offre un contributo decisivo alla produzione della ricchezza italiana, all’attivo della bilancia valutaria, ma non è sufficiente a “far star bene tutti”, è bene trovare nuove strade per andare “oltre la mangiatoia”, come abbiamo provocatoriamente denominato il ‘teaser’ di questa indagine. Partendo come sempre dalle fonti, nella fattispecie l’elaborazione puntuale fatta dall’Ufficio studi e statistica della Camera di Commercio Riviere di Liguria, si notano alcuni aspetti riscontrabili nella tabella qui sopra: innanzitutto dal 2016 al 2020 il numero delle imprese attive totali del Comune capoluogo è aumentato. Dalle 7.086 attive al 31/12/2016 alle 7.222 al 31/12/2020, secondo gli aggregati ufficiali. Ma, nel dettaglio, in questi cinque anni i valori sono saliti in modo significativo soltanto per quattro settori: quello di alloggio e ristorazione, passato da 737 imprese attive nel 2016 alle 873 del 2020, quello delle attività immobilari (legato evidentemente al turismo), passato da 363 imprese attive nel 2016 a 386 del 2020, quello del noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese passato da 281 imprese attive nel 2016 alle 325 del 2020: qui dentro c’è tutta la filiera turistica. Discorso a parte merita il settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche, passato da 265 imprese attive nel 2016 alle 292 del 2020: è la classica eccezione che conferma la regola ma è altrettanto evidente che si può anche pensare di fare qualcos’altro se si hanno le idee, si studia il mercato e non ci si ferma alla “comfort zone”. Per esempio si può andare oltre l’appartamento avuto in eredità dai nonni e trasformato in affittacamere, ma anche oltre la liquidazione del padre per aprirsi un locale e trovarsi poi con una mano davanti e un’altra di dietro se scoppia una pandemia.

Imprese attive/registrate nel Comune della Spezia fra il 2016 e il 2020

 

Ci sono settori che potenzialmente generano tantissimi posti di lavoro ma per diversi motivi sono in crisi da anni. Il superbonus 110% potrebbe smuovere qualcosa di tangibile sulle attività di costruzioni, la crescita dei cantieri nel 2021 si nota anche soltanto girando per le strade della città: nel comune capoluogo l’oscillazione storica non è eccessiva, si passa dalle 1284 aziende del 2016 alle 1274 del 2020 ma il volume d’affari, che poi è quello che conta, è un’altra storia. Chiaro che restaurare una facciata sia ben diverso che edificare un palazzo di sana pianta, per non parlare delle opere pubbliche, in continua discesa come numero e impegno di spesa. Per il resto, tabella alla mano, tutto è cristallizzato, fermo da anni e, nei casi peggiori, in recessione: emblematica la situazione del commercio all’ingrosso e al dettaglio, inserito in tabella nello stesso sottinsieme delle imprese di riparazione di autoveicoli e motocicli. Qui la discesa è smisurata: si è passati dai 2113 esercizi attivi nel 2016 agli attuali 2037, divario che diventa ancor più gravoso se si isolano le imprese registrate (2325 nel 2016, 2250 oggi). Dunque la parola d’ordine sarebbe: diversificare. Magari specializzandosi attraverso un più concreto rapporto fra il mondo dell’Università e quello delle imprese: i nostri corsi di laurea hanno la capacità di generare competenze che portano in modo veloce nel mondo del lavoro e allora bisogna non solo proteggerli e conservali, ma anche alimentarli con investimenti, pubblici e privati. Lo scorso anno se lo chiedevano anche a Napoli, una delle città più belle d’Italia: si può vivere di solo turismo? Due esperti come Pietro Massimo Busetta e Marco Giannone, in un corposo saggio sulla Rivista della Svimez, hanno risposto di no. Malgrado Palazzo Reale, il duomo e Piazza del Plebiscito, malgrado Napoli sotterranea, le catacombe, il Vesuvio e Pompei, il sito archeologico più visitato al mondo. Qui come a Napoli se non ci sarà sviluppo nelle industrie manifatturiere (come funzionava alla Spezia d’un tempo, quella dell’Arsenale e delle industrie produttive), se la nautica e la logistica non riusciranno totalmente a coronare quanto di buono si sta intravedendo ma che non basta (servono più spazi, infrastrutture di viabilità e di accoglienza), se il porto non saprà riattualizzarsi in un contesto ambientale adeguato, il turismo potrà fare soltanto un pezzo di quel percorso e questi luoghi rischieranno di diventare solo terre, magari bellissime, ma ancor più povere di oggi, Per una visita lampo o uno spaghetto al tramonto. Per chi se lo può permettere.

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