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Sprugoleria

Sprugoleria

La Lunigiana e i tormenti di Dante

Martedì scorso il Belpaese ha ricordato il 700° della morte di Dante Alighieri avvenuta a Ravenna nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321.

Bandito nel gennaio 1302 dalla sua Firenze in cui mai più tornò, trovò spesse volte accoglienza nella terra di Lunigiana, un’ospitalità che contraccambiò negoziando la pace fra i Malaspina e il Vescovato di Sarzana da un quarto di secolo impegnati in una diatriba anche cruenta per il possesso di due castelli, ed ai Marchesi rimase così legato che dedica a quella famiglia un canto del Purgatorio.

In questa landa il Poeta dovette dimorare per non poco tempo se nella Commedia per cinque volte, se la memoria non m’inganna nel fare il conto, l’immagine del paesaggio della nostra terra interviene nel racconto poetico come paragone per meglio illustrare la situazione narrativa che si va definendo.

Ho già detto in altre occasioni che per spiegare quanto arduo e faticoso fosse affrontare un certo passaggio nel Purgatorio. confronta quella difficoltà con il cammino che da Lerici portava in Provenza, tanto ostico nella realtà quanto lieve a compiersi se accostato all’asprezza del viaggio oltremondano.

Nel XXIV dell’Inferno c’è un’altra immagine, terribile a rappresentare il momento di grave turbamento ed incertezza che domina l’animo di Dante.

Quello è il canto dei ladri. Lì Dante incontra Vanni Fucci, autore di un furto sacrilego, suo nemico politico che gli profetizza l’impossibilità del ritorno a Firenze causa la sconfitta dei Guelfi Bianchi nello scontro avvenuto a Pistoia contro i Neri guidati da Moroello Malaspina.

Proprio a questo condottiero è rivolta la terz’ultima terzina in cui si paragona il nobile ad un fulmine che viene dalla valle del Magra involuta di torbidi nuvoli.

Al di là del contesto politico, rimane questa un’immagine forte, il ritorno alla mente di una scena che, anche se vista una volta sola, rimane poi nella memoria per sempre.

Non la si può immaginare, si deve esserne stati per forza spettatori di un tale momento se poi lo si riproduce con parole che diventano pittura disegnata con il calamo invece che con il pennello. Immagine potente, eccita la fantasia e ti fa pensare ad un Dante solo nella stanzetta di un maniero, meditabondo ad aspettare il sonno. Lo vedi e subito intendi che è un tormento interno a macerarlo. Si arrovella nella domanda che non gli dà tregua da quando è stato costretto all’esilio. Nel paesaggio cerca un sollievo ma, proprio quando sembra che venga il sereno, ecco subitanea la tempesta che tutto travolge.

Il disinganno che si mischia con lo sconforto è il dipinto rappresentato nella chiusa del canto.

“Tragge Marte vapor di Val di Magra
ch’è di torbidi nuvoli involuto
e con tempesta impetuosa e agra
sovra Campo Picen fia combattuto,
Marte tira fuori dalla valle del Magra un fulmine
racchiuso fra dense nuvole
e con un uragano violento e aspro
si combatterà dalle parti di Pistoia”

(Inf, XXIV, 148-151)