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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Dante e il monastero di Santa Croce del Corvo

Monastero Santa Croce Bocca di Magra

Domani ricorre il settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, data ricordata in tutta l’Italia. Bandito nel 1304 dalla sua Firenze dove più mai fece ritorno, il Poeta andò esule per le corti che, condividendo le sue idee politiche e soprattutto stimando la sua opera letteraria, lo accoglievano generose.

Da queste parti fu spesso ospite dei Malaspina, un’amicizia che Dante contraccambiò componendo la contesa che opponeva quella famiglia ai Vescovi di Luni per il possesso di un paio di castelli, disputa che durava da ormai un quarto di secolo.

Ma soprattutto in quel di Bocca di Magra ritroviamo, sia pur per una controversa testimonianza, notizia di un passaggio di Dante per il monastero di Santa Croce del Corvo. Infatti, un documento del XIV secolo riporta una lettera che tale monaco Ilaro, figura che compare unicamente in quel testo, invia a Uguccione della Faggiola, condottiero di ventura e signore ghibellino, per recapitargli su incarico di Dante una copia dell’Inferno che il Poeta gli aveva dedicato.

Nell’epistola il buon frate racconta di un colloquio avuto con Dante pellegrino giunto fino lì desiderando vedere il cenobio. Durante la conversazione l’ospite, ancora sconosciuto, svela la sua identità. Frate Ilaro, che non l’ha mai visto prima ma ben conosce la sua fama, ascolta, quasi come fosse nel segreto del confessionale, il desiderio dell’interlocutore di trovare finalmente “pace”, così dice. La serenità interiore cercava, segno di quanto fosse il suo travaglio intimo.

Quindi consegna al frate la copia dell’Inferno pregandolo di commentarla per meglio spiegarla e di mandare poi il tutto a Uguccione. Se il signore desidera conoscere le altre due Cantiche, le chiederà a Moroello Malaspina Marchese di Giovagallo e a Federico re di Sicilia cui ognuna delle altre due parti è dedicata.

Avutolo in mano, Ilaro scorre il libretto meravigliandosi che un argomento di tal fatta sia espresso in volgare e non in latino.

Quella era l’intenzione, risponde Dante, declamandogli la prima terzina in latino che tradotta recita “Canterò i regni ultimi che sono al di là del mondo corruttibile – e di come vasti si aprano alle anime, quali ricompense offrano – a ciascheduno secondo quanto hanno meritato”. In latino il Poeta aveva iniziato la Commedia ma presto aveva mutato idea per adottare “una lira più adatta per i nuovi gusti”.

Poi Dante dice di voler partire «ad partes ultramontanas», andare oltre i monti, chissà se verso nord o l’occidente.

Sull’autenticità dell’epistola gli studiosi si sono divisi, ma per questa lettera il Monastero del Corvo è famoso.

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