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La lezione dei pozzo

Questo Spezia dei Platek sembra l’Udinese pioniera

Scouting internazionale, rosa extralarge piena di giovani, scommesse in panchina, gioco offensivo, stadio nuovo e club "fratelli" in giro per l'Europa. Ma in Friuli ci vollero vent'anni e due retrocessioni per costruire il miracolo.

I Platek si presentano alla città

Udinese non si nasce, ma ci si può diventare. E chissà se i Platek conoscono la storia del club friulano sotto la famiglia Pozzo. Perché per molti versi, il modello a cui sembra ispirarsi il giovanissimo Spezia americano è proprio quello che ha portato la provincia più “lontana” d’Italia al centro dell’Europa del calcio per diverse stagioni. In decenni di lavoro, azzeccando una serie di scelte clamorose tra panchina e parco giocatori e non senza qualche passaggio dalla serie B nei primi anni della nuova proprietà.
Se oggi è il club di Via Melara a vantare il primato statistico, dieci anni fa, nella serie A 11/12, era l’Udinese ad avere una delle rose più giovani di tutto il campionato. Era così da qualche stagione, l’apice nell’annata 08/09 con 24.3 anni d’età media. Rosa extralarge, quasi quaranta calciatori, interscambio con la Primavera e mercato internazionale: in quel periodo arrivano i vari Muntari, Jorgensen, Felipe, Zapata, Inler, e Alexis Sanchez. Tutti giovanissimi, molti rivenduti a peso d’oro.

Handanovic arriva a zero e finisce all’Inter per 12 milioni, Sanchez costa 3 milioni e il Barcellona lo compra a 27, Inler viene pescato in Svizzera per un milione e ne rende 18. Con Isla l’investimento di 500mila euro porta in cassa oltre 13 milioni, Cuadrado a zero spinge la Fiorentina ad investire 21 milioni. E poi Muriel, Allan, Benatia, Asamoah, Candreva e così via. Introiti che tengono il bilancio in attivo e permettono nuovi investimenti.
Certo, ci sono gli Oliver Bierhoff ma ci sono anche i Carsten Jancker. E comunque non si fa mai il passo più lungo della gamba. La storia narra che gli emissari dell’Udinese dissero no ad un milione per un giovanissimo brasiliano che avevano scovato per primissimi in patria. Troppo alta la cifra per un calciatore adolescente. Si trattava di Pato, che il Milan avrebbe acquistato l’anno dopo per 22 milioni di euro dall’Internacional.
Quell’Udinese, forte di uno scouting internazionale molto corposo, trova la chiave giusta anche in panchina in quegli anni. E’ fondamentale il triennio di Luciano Spalletti per portare il club (già nel giro dell’Europa) in alto in classifica fino ai preliminari di Champions League, un ciclo senza il quale forse niente di tutto ciò sarebbe stato. Ma la squadra ha un’impronta e risultati anche con Pasquale Marino e soprattutto Francesco Guidolin. Risultati arrivati dopo vent’anni di proprietà Pozzo.

Alle cose che vanno bene sul campo, si aggiungono le intuizioni fuori. E anche in questo caso, tra le potenziali similitudini con la situazione attuale dello Spezia Calcio si ritrovano almeno due elementi di peso. Il primo è lo stadio, che i Pozzo decidono di portare ad un altro livello almeno un decennio fa. Tempi di leggi più restrittive di oggi, con la strada della concessione di lunga durata tracciata proprio dal laboratorio Udinese, a favore di chi sarebbe venuto dopo.
Ultimo fattore, che distingue oggi lo Spezia più di ogni altra cosa, è l’essere inserito in una rete europea di società calcistiche. SonderjyskE in Danimarca e Casa Pia in Portogallo sono per Via Melara quello che Granada in Spagna e Watford in Inghilterra sono per l’Udinese. Con la differenza che per i Platek è la serie A l’assolo del primo violino, mentre i Pozzo possono contare anche sul ricco accordo della Premier League con i suoi ricavi TV.

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