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Lo spettacolo sull'impresa del '44

"Maradona il numero uno, Van Basten il cliente più difficile"

Lunga conversazione con Beppe Bergomi, che ad Arcola ha ricevuto il Premio Perioli, intitolato al presidente dello Spezia scudettato. Dal soprannome 'zio' a Qatar 2022, passando per quell'eclisse del '99, una serata con la bandiera nerazzurra.

Beppe Bergomi ad Arcola

Allo storico capitano dell’Inter Beppe Bergomi, per i valori che rappresenta e ha rappresentato nella vita e nello sport, la prima edizione del Premio Coriolano Perioli, intitolato al presidente dello Spezia scudettato del 1944. Il riconoscimento è stato consegnato ieri sera ai giardini di Via Valentini, al Ponte di Arcola, nel corso di una serata che ha fatto registrare il pubblico delle grandi occasioni, ordinatamente accolto e fatto accomodare dopo l’esibizione del green pass. Presenti i familiari del presidente Perioli, il nipote dello scudettato ’44 Mario Tommaseo, Andrea Corradino, presidente di Fondazione Carispezia, finanziatrice della manifestazione, il club manager dello Spezia Calcio Luca Maggiani, l’ex presidente dello Spezia Stefano Chisoli, il manager e tifosissimo delle Aquile Alberto Pandullo, Piero Lorenzelli dei Veterani dello Sport, Angelo Molinari del Panathlon Club, l’ingegner Leonardo Bruni, comandate provinciale dei Vigili del fuoco, corpo al quale fu momentaneamente ceduto il patrimonio atletico delle Aquile nella vittoriosa esperienza d’epoca bellica. Un’impresa che il presidente Perioli non potè vedere nel suo compiersi, pagando con la vita il suo impegno in difesa delle vittime della persecuzione nazifascista, come raccontato dall’attore Riccardo Monopoli nel suo intervento dedicato alla figura dell’imprenditore arcolano. Una pagina di sport, quella di 77 anni fa, celebrata ieri, a chiudere in bellezza, con lo spettacolo Eravamo quasi in cielo, in scena Gianfelice Facchetti, attore e autore figlio dell’indimenticato Giacinto, e l’Ottavio Richter Trio. E prima della rappresentazione teatrale, l’intervista e la consegna del premio allo ‘Zio’ Bergomi, che ha conversato con Armando Napoletano e Gianluca Tinfena, conduttore della serata. Tantissimi i temi toccati, primo dei quali il Mondiale spagnolo: “Il traguardo massimo della mia carriera. Dovrò sempre ringraziare Enzo Bearzot, per me un secondo padre. Il mio l’ho perso presto, a sedici anni, non mi ha mai visto giocare ad alti livelli e anche prima aveva poco tempo per seguirmi, avevamo un distributore da seguire. Non era un grande appassionato di calcio, più di motori e bicicletta, aveva corso come dilettante. Bearzot per me è stato fondamentale, come tutto il gruppo dell’82, grandi giocatori e grandi uomini”. Non è mancato un passaggio sul soprannome: “Ho un fratello più grande, portava i baffi. Quando da adolescente è cominciata a uscire la peluria l’ho lasciata lì. Alla prima partita nel settore giovanile dell’Inter diedero un premio al giocatore più giovane, che ero io, sono nato a dicembre. Ma prima di darmelo hanno voluto vedere due volte la carta d’identità, perché dimostravo qualche anno in più. A sedici anni arrivo in prima squadra, mi cambio di fianco a Gianpiero Marini, che era quello che dava soprannomi a tutti all’interno dello spogliatoio. Mi guarda e mi dice: ‘Quanti anni hai?’, e io: ‘Sedici’. Lui fa: ‘Sembri mio zio’, e da lì è rimasto zio per sempre”.

Poi arriva la diapositiva di Bergomi alla prese con il Pibe de oro. “Maradona è stato il più grande in assoluto, il numero uno. E un avversario leale: una volta si poteva menare forte, gliene davamo a Maradona, ma lui non protestava mai, si rialzava e continuava a giocare. In campo è stato il più grande e i miei compagni di Nazionale che giocavano nel Napoli me ne hanno sempre parlato bene: si batteva per loro e loro davano tutto per lui”. Ma alla domanda su chi sia stato il cliente più ostico, la risposta non è El Diez: “Quello che mi ha creato più problemi, il più difficile da marcare, è stato Marco Van Basten. Un metro e novanta, qualità tecniche incredibili, veloce, agonisticamente cattivo. È il più completo contro cui ho giocato. Maradona resta il numero uno, ma Van Basten è stato il più difficile da affrontare”. Quindi il tasto di Italia ’90, quando fu proprio l’Argentina di Maradona a interrompere in semifinale il sogno azzurro. “Giocavamo a Roma, c’era un ambiente incredibile, da Marino fino all’autostrada eravamo circondati da persone che ci scortavano. Quando arrivavamo allo stadio facevamo riscaldamento in campo – all’epoca si usava farlo in palestra – perché c’era un ambiente incredibile. La semifinale invece l’abbiamo giocata a Napoli, Maradona aveva fatto delle dichiarazioni riscaldando un po’ l’ambiente. Le responsabilità della sconfitta però sono nostre, in campo c’eravamo noi, non siamo stati capaci di vincere quella partita. Ma eravamo una bella squadra, forse giocavamo il miglior calcio. È vero, fu una ferita, ma ho comunque un ricordo bellissimo, ero capitano di quella squadra e la porto nel cuore. Ho una chat con i campioni dell’82 ma anche con il gruppo delle Notti magiche, e quest’anno su entrambi ci siamo sbizzarriti nel fare complimenti ai nostri amici Roberto Mancini e Gianluca Vialli per la vittoria dell’Europeo”. Impossibile non soffermarsi sul successo dello scorso luglio: “Un grande gruppo con un gioco molto solido. Dopo la prima giornata dell’Europeo ho detto: la nostra è una squadra, le altre sono rappresentative. Sin dalla prima partita si è visto qualcosa di importante”. Un successo, quello di Euro 2020, arrivato sotto la guida del Mancio: “Un giocatore di talento straordinario e grande personalità. Come allenatore ha vinto dappertutto – Inter, City, Galatasaray -, ma quello che ha fatto con la Nazionale è stato incredibile e penso rispecchi maggiormente il suo carattere. Quando tre anni fa è diventato commissario tecnico ha detto di voler rimettere la Nazionale al posto che merita e attraverso il coraggio delle sue scelte e con la compattezza del gruppo è riuscito a fare qualcosa di veramente unico. Penso che il suo percorso come Ct continuerà a lungo. I prossimi Mondiali? Non so se riusciremo a vincerli, ma saremo ancora protagonisti”.

Sguardo alla seconda metà degli anni Novanta, quando alla Pinetina arriva un certo Ronaldo. “Mai visto tra i miei compagni uno così forte come tecnica in velocità. Veramente un fenomeno. Ricordo la prima partita di allenamento, a campo ridotto. Frey rilancia con le mani verso Ronaldo, io dico: lo anticipo. Invece lui va incontro al pallone, lo tocca di petto, me lo fa passare sopra la testa e batte al volo segnando a Pagliuca. Cominciamo bene… Un giocatore straordinario. Gli infortuni lo hanno un po’ limitato, ma è comunque riuscito a vincere un Mondiale, scudetti e coppe da grande protagonista. Un giocatore unico”. Sullo schermo – rassegna di capitani – compaiono i volti di Samir Handanovic, Javier Zanetti, Giacinto Facchetti e dello stesso Bergomi: “E non dimentichiamo Armando Picchi, un capitano incredibile – osserva lo zio -. Zanetti appena l’ho visto ho detto: questo è un fenomeno. Facchetti l’ho avuto come dirigente, persona straordinaria, un punto di riferimento. Handanovic non lo conosco molto, mi sembra un leader silenzioso, che quando parla dice le cose giuste”. Leader silenzioso definizione che ieri lo ‘Zio’ ha riservato anche in riferimento alla sua decennale esperienza con la fascia al braccio: “Da capitano per me era importante essere un esempio positivo per i giovani o per gli stranieri che arrivavano nello spogliatoio. Volevo far capire loro, attraverso i comportamenti, cosa voleva dire avere un Dna interista, che è diverso da tutti gli altri, né migliore né peggiore, ogni squadra ha il suo. Per me indossare la fascia è stato un grandissimo onore, nel farlo ho dato tutto me stesso”. Un legame così forte, quello con l’Inter, che mai Bergomi avrebbe potuto scegliere un altro lido italiano. Tra le chiamate arrivate al termine dell’esperienza in nerazzurro, quella della Premier: “Io via dall’Inter mi vedevo solo all’estero. Ero anche in parola per un trasferimento negli Stati Uniti, ma c’erano problemi per il numero massimo di stranieri. Dall’Inghilterra mi chiamò Gordon Strachan, allenatore del Coventry, in Premier League. Dissi di no, è un rimpianto”. E qua s’innesca un gioco di porte scorrevoli: finisce la vita sul campo, se ne apre quasi subito un’altra che la bandiera nerazzura non s’aspettava, e che porterà non poche soddisfazioni: “La vita è strana… Quando giocavo ero timido, parlavo poco. Ora faccio comunicazione, lavoro in televisione. Ricordo quando vennero a casa mia Fabio Caressa e l’allora direttore di Tele+… dissi loro che forse si erano sbagliati. Invece eccomi qua, è diventato il mio lavoro. Ricordo, era il 1999, quando io e Fabio provammo la prima telecronaca, uno Juve-Milan vinto dai rossoneri. Tolgono il commento originale e commentiamo io e lui. Alla fine Caressa mi dice: ‘Hai i tempi televisivi’. Che vuol dire parlare complessivamente quindici minuti, da seconda voce, su un’ora di telecronaca, far capire in poco tempo cosa succede, non essere banale, non dire niente se non si ha alcunché da aggiungere e così via. E quando usciamo dopo aver fatto quella telecronaca agostana, ecco che c’è un’eclissi di sole. Forse un segno del destino che ci diceva che saremmo diventati amici e avremmo lavorato insieme tanti anni”. E la coppia Bergomi-Caressa è pronta a tornare in pista per il prossimo Mondiale. “Per ora la Rai ha preso i diritti per tutte le piattaforme, ma a Sky ci hanno detto che ci sono buone possibilità di prendere i diritti, tratteranno con la Rai. Se prendiamo i diritti già sappiamo che io e Fabio commenteremo ancora i Mondiali insieme”.
Conclusa la bella chiacchierata, ecco la consegna del premio da parte della sindaca Monica Paganini, affiancata dall’assessore Sara Luciani, dal delegato allo Sport Ferdinando Coppola, dal Club manager Maggiani, dalla nipote del presidente Perioli Gabriella Bartolozzi, dal presidente Corradino, che ha portato il suo saluto. E una volta sceso dal palco lo ‘Zio’ si è volentieri prestato per autografi e foto ricordo con i tanti che gli si sono fatti incontro per un ricordo speciale della serata.

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