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Le migliori intenzioni

Le migliori intenzioni - immigrati

La scienza è il primo passo

Le ricerche del biologo marino Giuseppe Suaria - di Francesca Cattoi

Giuseppe Suaria

Sono passati molti mesi dall’ultima intervista che era dedicata a Jacopo Benassi e al suo ruolo all’interno del panorama artistico nazionale, ma soprattutto spezzino – il suo studio è, e rimane, in Piazza Brin. Forse una certa stanchezza, ma anche l’impossibilità di incontrarsi e quindi scoprire nuovi talenti e proporre collaborazioni, hanno segnato questi mesi. Per fortuna, la determinazione ha vinto sulla pigrizia e posso riprendere questo percorso per me sempre entusiasmante con uno scienziato, Giuseppe Suaria (Bari, 1987), il secondo dopo Massimo Sandal e il secondo dello spin-off, Immigrati (coloro che si sono trasferiti alla Spezia e qui portano avanti il loro lavoro di ricerca) dopo Lorenzo Palloni dei Mammaiuto.
Giuseppe vive a Pugliola e l’ho conosciuto tramite Alessandra Botto, già intervistata in questa rubrica, entrambi legati da amicizia a Germano Polano, anche lui qui ospitato: una bella coincidenza e sinergia.
Ci siamo incontrati qualche settimana fa a Sarzana, da Gemmi, per colazione. Per entrambi una levataccia: era la prima volta che qualcuno mi confessava con orgoglio di non amare alzarsi presto la mattina, ma quel giorno Giuseppe doveva fare il tampone causa imminente partenza per un viaggio di lavoro. Abbiamo conversato circa un’ora e mezza, insieme ad Alessandra, tra caffè, cappuccini e bicchieri d’acqua.
Avevo un aneddoto da raccontargli: settimane prima, avevo preparato gli appunti per l’incontro e li avevo lasciati in un libro su Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968). Il foglio è rimasto, per circa una settimana, all’interno di un libro su di lui che stavo consultando senza che lo potessi recuperare e quando ciò è avvenuto, sono stata colpita dalla coincidenza: due ragazzi nati in Puglia, nei loro trent’anni, entrambi amanti del mare, cui Pascali dedica diverse delle sue opere, mentre Giuseppe lo studia e lo vive da sempre. Lo sguardo scientifico di Giuseppe si interseca con quello artistico di Pino e la conversazione diventa uno scambio, che però si focalizza sul quotidiano e che condividiamo qui con voi.

Francesca Cattoi: Giuseppe, cosa fai al Cnr-Ismar di Lerici? Qual è la tua professione e area di ricerca?
Giuseppe Suaria: “Sono un ricercatore e mi occupo principalmente di studiare le dinamiche di accumulo, abbondanza, distribuzione, composizione e trasporto di rifiuti plastici in ambienti marini polari, oceanici e mediterranei, oltre che dell’armonizzazione e dell’inter-calibrazione dei metodi di rilevamento di macro e microplastiche in ambiente marino. L’attività di ricerca si svolge primariamente in campo, sulle navi da ricerca, per la raccolta dei campioni e poi in laboratorio per analizzarli. Poi ovviamente ci occupiamo anche di analisi dei dati, pubblicazione dei risultati, divulgazione delle nostre attività di ricerca, gestione dei progetti e formazione di studenti e tirocinanti. Insomma, c’è tanto da fare e non ci annoiamo mai molto”.

FC: Tu sei qui nello spin-off della rubrica che si intitola “Immigrati”. Ti ha preceduto Lorenzo Palloni dei Mammaiuto che arriva da Arezzo. Dove sei nato? Quali sono stati i tuoi studi?
GS: “Sono nato e cresciuto a Bari, lungo le sponde dell’Adriatico, poi subito dopo la maturità scientifica mi sono trasferito ad Ancona dove ho studiato biologia marina e oceanografia all’Università Politecnica delle Marche. Finiti gli studi, dopo qualche periodo all’estero in Irlanda, Inghilterra e Indonesia sono approdato, o meglio, immigrato a Lerici nell’estate del 2013. Insomma, sono Pugliese nel cuore, nonostante siano ormai più di 15 anni che non vivo più lì”.

FC: Da quanto e dove abiti a Lerici? Cosa ti piace di Lerici e della provincia della Spezia in generale?
GS: “Sono arrivato a Lerici nel 2013, tramite un concorso pubblico al CNR. Ora vivo a Pugliola, praticamente da quando sono arrivato (da Pugliese d’altronde, non potevo scegliere borgo più appropriato), in una piccola casetta blu con una vista mozzafiato sul Golfo dei Poeti. Non dimenticherò mai quelle prime settimane di ricerca della casa, appena mi si è aperta la vista sul golfo, non ho avuto esitazioni. È stata una scelta facile quella di vivere a Lerici, e poi diciamo che la bellezza del posto, le nuove amicizie, l’accoglienza del paese e lo stretto rapporto con il mare hanno fatto il resto”.

FC: Ci racconti cosa succede durante le missioni di lavoro? Come si organizzano? Quali obiettivi?
GS: “Dietro l’organizzazione di una campagna oceanografica di solito ci sono anni di lavoro, dal reperimento dei fondi, all’acquisto della strumentazione necessaria, oltre ovviamente all’idea scientifica (che di solito deve essere selezionata da un panel di esperti). Una volta ottenuto del tempo e la nave, inizia la preparazione del materiale, la spedizione, le pratiche doganali, la richiesta dei permessi alle relative autorità e insomma, il campionamento in sé rappresenta solo una piccola parte di tutto il lavoro che viene prima e soprattutto dopo, in laboratorio, per l’analisi dei campioni raccolti. Di base comunque serve un’idea brillante e un team di collaboratori con il quale realizzarla”.

FC: Pensi che microplastiche e microfibre siano il tuo ambito di ricerca anche per il futuro? Ti piacerebbe studiare qualcos’altro, magari emerso dagli studi o dai viaggi che hai effettuato?
GS: “Sono capitato nel mondo delle microplastiche quasi per caso, e in realtà non mi dispiacerebbe riuscire a studiare anche qualcos’altro in futuro. Non penso che su questo argomento l’attenzione del pubblico, e soprattutto quella degli enti finanziatori, durerà ancora a lungo. Del mare comunque sappiamo ancora molto poco. Basta pensare che abbiamo delle mappe della superficie di Marte e della Luna che sono di gran lunga più dettagliate di quelle dei fondali oceanici. Insomma, c’è ancora tanto da scoprire, bastano solo un po’ di curiosità e ovviamente, i giusti investimenti da parte del governo”.

FC: Nel 2019 sei stato in alcune classi elementari a parlare di plastica. Cosa gli spieghi? Quale la reazione degli studenti? Ti piace trovarti a scuola a spiegare il tuo mestiere, il risultato delle tue ricerche?
GS: “Non me l’aspettavo, ma devo dire che negli ultimi anni ho scoperto che al pubblico piacciono molto le mie storie, e soprattutto i più giovani rimangono spesso colpiti dalle immagini che faccio vedere e dalle avventure che descrivo. Non dimenticherò mai la sensazione che ho provato qualche anno fa in Puglia, al termine di un mio intervento per un evento di Slow Food, la prima volta che una bimba mi si è avvicinata per dirmi che da grande avrebbe voluto fare il mio lavoro. Poi negli anni, nelle scuole la storia si è ripetuta altre volte, ma comunque rimane sempre una bellissima sensazione quella di riuscire a portare la passione per la ricerca scientifica al di fuori dei laboratori e dei convegni di settore. Mi sono accorto in queste occasioni, che le giovani generazioni sono molto più informate e motivate degli adulti, soprattutto per quel che riguarda i temi ambientali, e questo devo dire che mi riempie sempre il cuore di speranza”.

FC: Ora sei in viaggio verso l’Artico. Ti va di descriverci questa missione? Cosa ti sei riproposto di studiare? Quali risultati? Chi sono gli altri membri del gruppo? Su che navi viaggiate?
GS: “Sono qui in effetti che scrivo questa intervista a bordo della Heincke, una nave da ricerca tedesca di 55 metri. Dopo una settimana di quarantena, domani se tutto va bene partiremo alla volta dell’Atlantico del Nord e dell’Oceano Artico dove trascorreremo i prossimi 35 giorni a raccogliere campioni di microplastiche. La missione fa parte di un grande progetto europeo al quale partecipiamo come CNR e che vede coinvolti una quindicina di altri partner provenienti da tutta Europa. Il progetto si chiama FACTS e si prefigge l’ambizioso obiettivo di migliorare la nostra comprensione sulle fonti, il trasporto, la presenza e il destino delle microplastiche nelle acque marine settentrionali. Studieremo quindi il trasporto delle microplastiche dalle acque temperate del Mare del Nord meridionale alle acque artiche del Mare di Barents tramite una serie di strumenti abbastanza complessi. A bordo non siamo tanti, una decina di ricercatori più 8 membri dell’equipaggio, ora fervono i preparativi, e speriamo solo di non prendere troppo mare…”.

FC: Franco Borgogno, nel suo libro, Plastica, la soluzione siamo noi, Nutrimenti srl, Roma 2020, ti dedica un capitolo, dove racconti la tua storia e dimostri di essere molto rigoroso nella visione e interpretazione del tuo lavoro di scienziato. Ce ne parli?
GS: “Penso che il mio compito sia abbastanza semplice a dire il vero. Vado in mare, raccolgo dei campioni, li studio, li analizzo e poi racconto quello che ho trovato nella maniera più rigorosa possibile. Tutti i ricercatori in realtà devono sempre cercare di essere il più neutrali ed imparziali possibile per poter dare forza alle loro ricerche. Professionalmente, non mi occupo di soluzioni e non mi occupo di politica, né di cercare compromessi. Certo, ho le mie opinioni, ma quando si parla di ricerca, le opinioni vanno lasciate fuori, semplicemente perché per essere attendibili, i risultati scientifici devono essere riproducibili ed inconfutabili. Questo serve poi ad avere potere di contrattazione, soprattutto su quei tavoli tecnici dove le decisioni vengono prese per davvero, ecco, lì io penso che per essere efficaci, bisogna sempre sforzarsi di essere obiettivi, e soprattutto imparziali”.

FC: Come ti trovi in queste occasioni di visibilità: il libro di Borgogno, ma soprattutto la pubblicazione dei testi scientifici come The Mediterranean Plastic Soup. Synthetic polymers in Mediterranean surface waters, 2016, e Microfibers in oceanic surface waters: A global characterization, 2020, che hanno avuto un riscontro mondiale?
GS: “La visibilità mi ha sempre messo molto a disagio. Preferirei lavorare nell’ombra a dire il vero, ma alla fine non si scappa, ho deciso di lavorare su di un argomento che va molto di moda, e quindi ora ne pago le conseguenze… ma comunque, dopo un po’ ci si abitua a parlare in pubblico, e forse alla fine, ci si prende anche un po’ di gusto, soprattutto quando ci si rende conto che il proprio lavoro viene apprezzato, è una bella sensazione, che ti sprona a dare sempre il meglio”.

FC: C’è qualche scienziato che ammiri? Qualche lettura che ci vuoi suggerire?
GS: “Ammiro molto il lavoro di Jared Diamond, una mente che ritengo essere tra le più brillanti del nostro tempo. Consiglio a tutti la lettura del suo saggio, “Armi, Acciaio e Malattie”, un libro forse difficile, ma illuminante, che ha avuto una grandissima influenza sul mio pensiero e sulla mia comprensione del mondo che ci circonda”.

FC: Fai parte di qualche gruppo di attività ecologiste? Qualche suggerimento che ci vuoi dare?
GS: “Sono stato un sostenitore di Greenpeace per una ventina di anni, ora però sono libero e indipendente e penso di dare il mio contributo facendo ricerca a livello internazionale e divulgando il più possibile i risultati delle mie ricerche. A dire il vero non mi piace molto dare consigli, e tendo spesso ad essere abbastanza pessimista sul nostro futuro. D’altronde siamo più di sette miliardi, il concetto di sostenibilità ambientale è ancora un miraggio, e nonostante tutto, continuiamo a crescere, demograficamente ed economicamente, come dei treni. Quindi, in tutta sincerità, non ho mai creduto che le azioni dei singoli possano davvero fare la differenza. Credo molto di più nel potere della (buona) politica, e quindi mi sento solo di esortare tutti a votare per bene, e a scegliere sempre dei rappresentanti che abbiano a cuore la salute dell’ambiente in primis, e della società più in generale. E poi comunque, citando Baden-Powell, penso che dovremmo sempre tutti impegnarci a lasciare questo mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”.

Mentre mi preparavo ad incontrare Giuseppe, ho letto due libri a carattere scientifico, oltre al libro di Franco Borgogno di cui si parla nell’intervista: Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Editori Laterza 2019, e Ian McEwan, Invito alla meraviglia, Einaudi, 2020. Mi sono quindi immaginata Giuseppe un po’ come Charles Darwin sulla Beagle e mi piace molto che questa intervista sia stata scritta su una nave, in quella dimensione epica che i viaggi in mare occupano nel nostro immaginario e che sono, per lui, qualcosa di quasi quotidiano, il suo modo di fare ricerca e lavorare. La scrittura è un modo per raccontare esperienze e in questo caso anche la possibilità di pensare a qualcosa che ci è vicino: il mare e la plastica. Anche gli scienziati usano le parole per divulgare i loro risultati e i testi di Suaria che abbiamo citato sono facilmente reperibili online. Il “delirio del mare”, come nelle parole di Eugenio Montale, rimane negli occhi dello scienziato barese e rinvigorisce la sua passione. Dalle due finestre della sua casa a Pugliola, quel colore azzurro che Pascali replicava usando l’anilina o altra colorazione industriale, fa da sfondo alle sue ricerche e rafforza la certezza di poter incidere, in un modo o nell’altro, sul nostro futuro.

FRANCESCA CATTOI