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Il “flow” di Thiago Motta per un calcio dominante

La tesi che racconta la sua storia: allevato in un Barcellona crujiffiano, salvato dall'idea di collettivo di Gasperini, esaltato da Mourinho. Empatia, creatività, fiducia tecnica: tutto parte da un rapporto naturale con il pallone.

Thiago Motta

E’ pronto a portarsi il pallone con cui giocava nel Barcellona di Rijkaard, le linee che all’Inter di Mourinho gli chiedevano di tagliare con la verticalizzazione, la struttura di squadra che il Genoa di Gasperini privilegiava rispetto al riferimento del centravanti ed il dominio del gioco insito nella superpotenza PSG di Blanc. Tappe di un percorso che lo ha portato ad “una visione globale e stratificata del calcio, ma basata sull’elemento primordiale e naturale: il pallone”.
E’ un romanzo di formazione la tesi Uefa Pro di Thiago Motta dal titolo “Il valore del pallone. Lo strumento del mestiere nel cuore del gioco”. Lo scritto che ha suscitato tanto interesse a Coverciano lo scorso autunno, che ha strappato il voto più alto del suo corso e che ha imposto il 39enne come possibile protagonista della panchina. Neanche il passaggio a vuoto al Genoa ha fatto desistere Ulivieri dal crederci. “Diventerà un grande”, aveva insistito il grande vecchio in un’intervista dell’anno scorso.

Molto prima di arrivare a Mourinho, si passa dal filosofo Umberto Galimberti e dal sociologo Aaron Antonovsky nelle 28 pagine del lavoro di Motta. Tutto comincia in ogni caso dal pallone per poi tornare al pallone. Un oggetto con cui creare un rapporto virtuoso, da interiorizzare, da abbracciare nella sua essenza. Il tocco del piede fa scaturire un percorso di perfezionamento che impone al singolo il controllo dello stress e al gruppo lo sviluppo di un’intelligenza emotiva che diventi il vero carburante della squadra.
Gli schemi, le tattiche, le esercitazioni, la difesa alta ed il contro pressing quasi un non detto. Di sicuro una conseguenza, che trova la strada spianata alla realizzazione quando si sia stabilito questo clima fertile nello spogliatoio. Un flow, “inteso come condizione mentale in cui l’atleta si trova talmente immerso nella sua prestazione da sperimentare un vissuto di serenità e concentrazione, di totale assorbimento”. Sono precetti in cui si riconosce il clima del Barcellona in cui crebbe e poi giocò tra il 1999 ed il 2007. Un club ancora pienamente crujiffiano, con Rexach prima, Rijkaard poi e l’intermezzo di discontinuità del sergente di ferro van Gaal, durato una sola stagione.

Volendo continuare la lettura in chiave biografica del testo, ecco Gasperini nell’anno di Genova, quello del rilancio da calciatore dopo la stagione all’Atletico di Madrid. Il maestro odierno del calcio corale si riconosce nel passaggio in cui Motta scrive che “in un gruppo di lavoro, la soddisfazione collettiva si realizza anche quando il singolo riesce a trovare e imporre una propria identità tecnica all’interno del gruppo stesso”. Per l’allenatore, più paura di qualsiasi avversario fa una chat in cui i calciatori più tecnici prendono in giro i compagni con meno qualità. Un aneddoto ricalcato da un racconto di Drogba ai tempi del Chelsea.
Nessuno deve essere spinto a nascondersi, né in allenamento e neanche in partita. Tutti i calciatori devono sentirsi liberi di esprimersi, sperimentando “una fase di creatività del gioco, commettendo magari errori che non siano oggetto di critiche eccessive, e comunque sempre nell’intento di completare il percorso che porta all’obiettivo della vittoria”.

L’empatia umana è il lubrificante della circolazione di palla, il “principio di condivisione su cui si fonda il concetto di solidarietà di squadra, di appartenenza al gruppo con le sue implicazioni tattiche ma anche emotive”. Non c’è spazio nel calcio di Thiago Motta per “attaccanti di grandi doti tecniche che rifiutano il lavoro difensivo considerandolo un dovere per quei compagni che non avendo sufficienti capacità tecniche devono compensare facendo almeno il lavoro sporco”.
Solo così si esalta il pensiero creativo, che sul campo ed in partita diventa la capacità del singolo di prendere una decisione. Ciò che fa la differenza. Motta cita Albert Einstein quando diceva che “se la logica porta da un punto A a un punto B, l’immaginazione porta dappertutto”. Il pallone è usato ampiamente in allenamento perché “coltivando il singolo tocco di palla [il calciatore] sviluppa un rapporto naturale”. Più prettamente calcistici i rilievi sul Leeds di Bielsa – esempio di “fiducia tecnica collettiva” – e la Germania di Low in cui i giocatori “pensano ad attaccare mentre difendono e a difendersi mentre attaccano”.

Un testo affascinante, che il tecnico non ha ancora avuto modo di mettere in pratica con una squadra costruita per lui e allenata dagli esordi della stagione. La speranza dello Spezia, di cui domani diventerà l’allenatore, di aver trovato il profilo ambizioso e innovatore che vuole essere l’immagine sportiva del club dei Platek e l’impronta calcistica di Pecini.
La promessa di un calcio che lo stesso autore sintetizza in tre punti: “A) Per ottenere un calcio dominante bisogna non avere paura del pallone. B) Per un calcio d’attacco bisogna volere e ottenere il possesso della palla. C) La fase difensiva deve essere volta al recupero più rapido possibile della palla”. Nella convinzione che “quando la squadra si posizioni in modo coerente ed omogeneo rispetto alla posizione del pallone, non solo automaticamente si riducano le opzioni tattiche della squadra avversaria, ma soprattutto aumenti l’efficacia tattica ed anche fisica della propria squadra”.

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