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Quisquilie e meraviglie

Gabbiani

di Beppe Mecconi

Gabbiano

Se ne stava sulla sua comoda poltrona in simil pelle rosso scuro che aveva assunto la sua forma.
Guardava fuori dalla finestra.
Era una fine pomeriggio di marzo, i gabbiani stavano rientrando ai loro nidi dalle discariche che andavano ogni giorno a visitare a molti chilometri dal mare.
Si chiese ancora una volta come caspita avevano fatto a scoprire quegli immondezzai dove, certo, era molto più facile trovare del cibo. Questione di olfatto? Avevano mandato degli esploratori?
Una volta li vedeva a decine intorno ai pescherecci quando rientravano nel porticciolo cercando di afferrare qualche pesce sfuggito dalle reti o i resti che i pescatori ributtavano in mare, chiassosi, litigiosi, ma innegabilmente belli, bellissimi.
Nel corso degli anni li aveva poi visti a caccia di topi sui tetti delle case più vecchie, entrare negli anfratti dove covano i piccioni e uscirne con un pulcino implume nel becco, una volta ne aveva visto uno predare una tortora in volo, come un falco, ed era ormai diventato abituale vederli nelle vie della città rovistare nella spazzatura e sporcare dappertutto.
Una volta quasi li adorava, Jonathan Livingston certamente aveva influito ma la loro eleganza e bellezza era indiscutibilmente evidente.
Ora li detestava profondamente.
Una volta, anni prima, aveva posteggiato l’auto nel parcheggio sopra la cattedrale della Spezia, dove da qualche anno vagavano liberi dei bellissimi conigli. Chissà come erano arrivati lì i primi, pensò; forse scappati da una conigliera di qualche campagna poco distante, o qualcuno li aveva liberati in quella zona dopo averli acquistati alla fiera di San Giuseppe pensando fossero coniglietti nani mentre invece erano solo cuccioli? Fatto stà che, si sà come sono i conigli, ora ce n’erano decine, alcuni belli grossi e alcuni piccini, ed erano abituati al passaggio degli uomini, non si facevano accarezzare ma si poteva andar loro molto vicino mentre mangiavano erbette e fiori. Era uno spettacolo simpatico, inusuale e rilassante a un passo dalle frenetiche vie del centro.
Ebbene quella volta mentre guardava sorridendo dei bellissimi coniglietti di poche settimane arrivò un gabbiano, ne afferrò uno con quel terribile becco giallo, il più bello, bianco, e se lo portò via. Planò poco distante, sulla terrazza sopra la strada e tenendolo bloccato al suolo con una zampa si guardò intorno con quell’inquietante sguardo senza espressione che hanno, il coniglietto si dimenava in silenzio. Lui scavalcò la recinzione, che avevano sistemato dopo che in quella zona era accaduta una disgrazia, e cercò di far lasciare la piccola preda a quell’innaspettato candido rapace ma quello la afferrò nuovamente e si alzò in volo e quando fu in alto la fece piombare sull’asfalto della piazza, per ucciderla e poi divorarla con calma. Scese di corsa la scalinata e arrivò nei pressi di quel batuffolo prima che il gabbiano avesse potuto iniziare il suo banchetto, ma il piccolino era morto. Lo raccolse, risalì la scalinata, fece una piccola buca nel terreno, e lo lasciò lì, lacrime di dolore e di rabbia gli rigavano il volto.
Sì, li detestava proprio, avevano cancellato (evolvendosi?) la meraviglia che erano ai suoi occhi, che rappresentavano per lui. Gli venne in mente che anche quella mattina alle cinque il loro stridulo garrire lo aveva svegliato, fino a pochi anni prima era il canto degli uccellini che salutavano il sorgere del sole a farlo. Anche quella minuscola gioia del dormiveglia che sempre lo faceva star bene gli avevano tolto
Pensò che anche quelli fossero segni dei tempi.
Il sole stava iniziando ad abbassarsi sul profilo delle colline che scurivano dall’altra parte del Golfo e il cielo stava assumendo una raffinata ma potente tonalità cobalto.

Quando entrarono nella cameretta con la cena e le medicine lo trovarono che sorrideva, sulle ginocchia aveva il libro di Richard Bach.
Quel mattino aveva confidato alla giovane fisioterapista che il mondo non era poi più così interessante.
Qualcuno disse: «Tra pochi giorni avrebbe compiuto 101 anni».
Sazi gabbiani continuavano in silenzio a solcare il cielo.