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Vigneti e nuovi impianti, perché le Cinque Terre hanno le mani legate

Il punto con il direttore del Parco nazionale delle Cinque Terre Patrizio Scarpellini: "L’autorizzazione al reimpianto è un tema complesso che limita la viticoltura”.

Cinque Terre

Alle 5 Terre la viticoltura non è sempre e solo una questione di volontà. O meglio, non di volontà del singolo. Tra mille ostacoli e asperità legate alla conformazione del territorio, esiste infatti un altro problema di difficile risoluzione: il diritto al reimpianto, o meglio “l’autorizzazione all’impianto di nuovi vigneti”, come si dice ora. Una garanzia di qualità per aree estese come Langhe e Toscana, ma una limitazione enorme per le 5 Terre. Che cos’è quest’autorizzazione e in che modo limita la coltivazione locale, ce lo racconta Patrizio Scarpellini, direttore del Parco Nazionale delle Cinque Terre. “La situazione attuale è dettata dalle norme comunitarie e dagli accordi Stato-Regione e Stato-Comunità Europea. Praticamente la Comunità Europea assegna l’1% delle superfici vitate allo Stato e lo ripartisce alle regioni nella stessa quota, in base alle superfici vitate. Alla Liguria annualmente spettano 16 ettari, da dividere tra province e per chi ne fa richiesta. Ma alle 5 Terre abbiamo attualmente poca superficie vitata e quindi la percentuale che ci spetta è molto bassa e rallenta il processo di implementazione e sviluppo delle attività vitivinicole”.

Ma se questa norma non può certo risolverla il Parco delle Cinque Terre, qualcosa comunque può fare. “Con il Piano del Parco – continua Scarpellini – stiamo studiano le superfici potenzialmente dedite all’agricoltura e stiamo risalendo a quali erano una volta le superfici vitate e poi abbandonate. Le vecchie carte catastali al momento sono in mano all’Ispettorato agricolo”. E avere realtà vicine con problematiche analoghe, in questo caso aiuta. “Con Federparchi, stiamo cercando di intraprendere una strada che assegni ai Parchi Nazionali una piccola quota di autorizzazione al reimpianto prima che queste vengano distribuite alle Regioni. Il Ministero potrebbe così distribuirle ai vari Parchi che hanno problematiche come le nostre, con l’obiettivo primario di tutelare il paesaggio.”

Alle 5 Terre, infatti, paesaggio e agricoltura vanno a braccetto come dimostrano i danni ambientali provocati in tempi recenti dall’abbandono delle terre vitate. “Vogliamo riportare le 5 Terre ai numeri di una volta. Nel 2000 gli ettari vitati censiti e riconosciuti dall’Ispettorato erano più o meno 200. Oggi siamo a circa 100 ettari. Abbiamo chiesto un nuovo censimento, ma non ci è ancora stato consegnato, aspettiamo una risposta.”

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Come avviene l’assegnazione di questi 16 ettari? “A livello regionale viene fatto un bando aperto a tutte le aziende che fanno richiesta e che devono dimostrare di aver estirpato nei vecchi terrazzamenti la vegetazione spontanea”. E così ogni azienda può richiedere un tot di metri quadrati, perché di ettari non si può parlare dato che in totale da queste parti “non si arriva a 1 ettaro all’anno”.

“La nostra opera di sostegno all’agricoltura non finisce mai – ci tiene a sottolineare il direttore del Parco – abbiamo fatto bandi, come quello per la ricostruzione dei muretti a secco che limita il dissesto idrogeologico, altro problema che mina la viticoltura perché, è inutile fare interventi di agricoltura se prima non si fa la messa in sicurezza dei versanti, come nel caso di Tramonti. Abbiamo tavoli aperti con i produttori locali e le associazioni di categoria e il tema che viene sempre fuori con più forza è questo: la necessità di ampliare i terreni da coltivare”. E comunque, se pure a rilento, un po’ di spazio le vigne negli anni l’hanno conquistato. “Se facciamo una sovrapposizione di foto rispetto a 5 anni fa, ci si accorge che l’abbandono è finito e siamo in una fase di recupero. In questo periodo sono nate nuove aziende agricole, ad oggi siamo a 26, e c’è una maggiore sensibilizzazione da parte di tutti. Il tema dei reimpianti – conclude Scarpellini – è complesso perché dipende dalla Comunità Europea, dagli accordi con il Ministero, da quelli tra Stato-Regione, ma il Parco sta facendo la sua parte, anche attraverso progetti importanti come Stonewalls for Life per il recupero e mantenimento dei muretti a secco”. Altro patrimonio da salvare.

Anna Maria Giannetto Pini

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