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Sprugoleria

Sprugoleria

Delicate vigne, il buon vino della riviera e la fatica per produrlo

di Bert Bagarre (terza parte)

Vendemmia

Si sa che i vini dei feudi che Sprugolandia ha nella Riviera sono buoni e di antica fama ma quanti conoscono la fatica che serve e soprattutto che serviva, per produrli?
Certo, oggi è tutto più semplice, almeno da quando (sarà poco più di mezzo secolo) l’Amministrazione Provinciale ha steso lungo i rilievi dove sono le pianelle, una rete di cremagliere che portano i vagoncini giù dove si svuota la vigna e poi su dove si lavorano i tralci raccolti. Ma una volta, e non era tanto tempo fa, si faceva tutto a piedi e con la coffa colma di grappoli sulla testa o appoggiata sulle spalle.
Io soffro al solo vedere la strada che porta a Tramonti, gradini alti e soprattutto inesauribili ché non ne vedi la fine, ce n’è sempre un altro quasi che li generasse l’elica di un moto perpetuo. E dico della discesa, alla risalita neppure ci penso: anche se l’unico peso è solo un cappellino, quando torni indietro pure quello pare macigno.
Queste sono le impressioni del turista, ma chi ci lavorava, una volta giunto a destinazione, doveva curvare la schiena perché non si poteva operare mai con il busto eretto ma solo spezzando la figura per arrivare con le mani a terra.
Sulla vetta di quei monti tanto alto e scoscesi anche gli uccelli fanno fatica ad arrivare, commenta uno storico di metà Quattrocento ed aggiunge che pare trattarsi solo di “puro sasso senza punta d’humore”, roccia viva che non ha neppure un filo d’acqua. Uno vedendo quel paesaggio immaginerebbe il deserto e invece scopre la presenza di “abondevoli e delicate vignette” tanto ben sistemate con le loro radici a terra “come si vedono abbarbicate in un muro l’hellere”: le sue barbe aeree attaccano l’edera ai muri e tali sembrano le radici delle vigne che corrono così aderenti al terreno, per sfruttare il poco spazio a disposizione e da esso trarre ogni stilla che riesce a trovare nella terra arida.
Eppure, pur in condizioni così tanto ostili, quei pergolati sono “fecondi di uve preziose”, leggiamo in un altro testo che nello stesso torno di tempo descrive il paesaggio delle cinque “castella” sul mare.
Ma per ricavare il vino occorreva liberare i tralci dai raspi che li appesantivano piegandoli anche a toccare il suolo.
Pare semplice ma quando i trenini non esistevano ancora, era talora necessario che “gli huomini si calassero dalle rupi”. Imbragati con corde e funi, quei contadini anticipavano i personaggi di Magritte stampati nel cielo o gli artisti dell’edilizia acrobatica che ogni tanto vediamo penzolare dai tetti.
Per cui, quando porgono uno di questi vini dicendolo DOC o IGT, lo si gusti ricordando che è DNA.

Fine