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Sprugoleria

Sprugoleria

Vini e vigneti delle Cinque Terre nei versi dei poeti

di Bert Bagarre - seconda parte

Vigneti

Due puntate fa si diceva della bontà enologica che Sprugolandia produce nei vigneti dei suoi, della cui meritata fama hanno parlato letterati della zona e personaggi famosi.
Giustiniani, nobile genovese che si dilettava anche di scrivere delle vicende dell’arco che dal Caprione va fino alla Gallia marittima, asseriva che perfino le tavole di re si sentono onorate quando vi si poggia sopra una brocca di vino concepito nelle Cinque Terre.
È reputazione antica.
A Pompei hanno ritrovato delle anfore con inciso sopra Cornelia, il nome della terza terra che si chiama così per essere stata fondo agricolo concesso come Tfr al legionario romano Cornelius dopo che le aquile delle legioni avevano finalmente debellato i Liguri Apuani.
Si snoda nel tempo la favola bella del vino di queste zone, narrata da cantori famosi ed altri minori ma non per questo meno importanti: gli intellettuali locali.
Dei loro nomi non trovi traccia nelle storie della letteratura né nelle antologie paludate, a stento li conosce la loro più che lontana progenie, ma sono testimonianze forse anche di maggior pregio perché dirette: conoscono quello di cui dicono non perché occasionali fruitori ma in quanto di quei prodotti sanno la bontà e prima ancora er travagio che è costato produrli.
Ursone da Vernazza, metà del Duecento. Intitolata a lui abbiamo una viuzza nella Cittadella, ma è un Carneade. Eppure fu notaro e autore di un’opera in versi latini dove celebra la vittoria genovese contro Federico II. Nel poema di guerra, canto epico, trova il modo e lo spazio per ricordare l’esigua lingua di terra ad oriente col monte che repente cala a picco sul mare: muro opposto al nemico ma giardino odoroso, benevolo verso la vigna.
Vino buono e rinomato, dunque.
Ne dice pure Petrarca, e questo è nome famoso, nel suo poema latino sulla seconda guerra punica.
Magone, fratello di Annibale, salpa da Genova e guarda il litorale che si snoda sotto i suoi occhi. Ecco Delfino, il nostro Portofino, e poi Siestri, fino a che gli si parano davanti “i vigneti che, purificati dall’occhio benigno del sole e più che cari a Bacco, si volgono verso il monte Rosseggiante e la giogaia di Cornelia, famosi dappertutto per i loro tralci zuccherosi che non arretrerebbero vergognosi dinanzi ad alcuna altra vigna”; una descrizione bella anche se un po’ macchinosa, nello stile del Poeta.
Ai tempi di Ursone era stato più sbrigativo il frate parmigiano Salimbene. Dicendo del vino di Vernaccia se la cava con poche battute ma che hanno il pregio di far capire subito il concetto: il vino di quella terra “optimum est”. Serve tradurre?

Continua…

BERT BAGARRE