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Diario dalle Terre Alte

Diario dalle terre alte

Storie di Guido, l’ultimo pastore

di Giorgio Pagano

Il monte Malone (2020) (foto Giorgio Pagano)

Canaverbone si raggiunge con facile sentiero da Rio di Sesta Godano (percorribile anche con un fuoristrada). Il luogo, a mille metri di altezza, sul versante meridionale del massiccio del monte Gottero, è splendido, con una vista sulla Val di Vara che arriva fino al mare del Tigullio. Qui vive, come un eremita, Guido Darello, l’ultimo pastore del Gottero. Guido (lo vedete nella foto in basso) ha 91 anni, sta a Canaverbone da quando ne aveva tre, proveniente da Pian di Lago, sopra Groppo. Prima con i genitori, poi con un fratello e una sorella, da cinquant’anni da solo. Le attività della famiglia e poi sue riguardavano il taglio della legna, la produzione di carbone vegetale, un po’ di agricoltura, e soprattutto l’allevamento: pecore, mucche, cavalli, asini. Poi i lupi hanno sterminato tutti gli animali. Racconta Guido:
“Ho lottato trent’anni, dall’inizio degli anni Novanta, e sono stato sconfitto. L’anno scorso un lupo ha mangiato l’ultima capra, ho salvato la capretta e le ho dato il latte, da allora non si muove, sta in casa e mi viene dietro come un cane. I lupi ora passano e vanno, scendono in basso, perché qui non c’è più nulla da mangiare”.
La conferma mi è venuta da Airola, paesino sotto Chiusola: quando ho visitato il Santuario di Nostra Signora della fontana (si veda l’articolo di domenica scorsa) mi hanno raccontato di un asino mangiato dai lupi qualche giorno prima.
La vita di Guido è sempre stata, dice lui, “ai quattro venti”. Ma il Gottero era diverso:
“C’era molto più pascolo, c’erano grandi prati erbosi, e molto meno bosco. Ho mantenuto a prato la zona attorno a casa mia. Non c’è più l’uomo, ora non si passa più, non si può uscire dalla strada o dai sentieri principali. Il paesaggio è cambiato. Eravamo in 19, sono rimasto solo io. Anche negli altri versanti del Gottero ormai è così, nello Zerasco, nel Parmense. Coltivo un po’ d’orto e basta, prima c’erano il grano, la segale… C’erano anche i cinghiali, ma i lupi li hanno sterminati”.
La casa è tutta in pietra, con il tetto di lamiera isolato con la paglia. Dentro c’è una stufa di ghisa che ha più di ottant’anni di vita. Guido si fa il pane in un piccolo forno e cuoce sulla brace, con l’antico strumento della “campana”. Agnello, formaggio, polenta, castagnaccio, pattona, prodotti dell’orto, funghi, che sono già ad essiccare sul tetto della casa: la sua cucina è sempre stata quella del territorio. “La carne era più buona, il lardo di una volta non c’è più -racconta Guido- anche i frutti di bosco sono quasi spariti, le api non vengono più… E’ cambiato il clima, è cambiato l’ambiente, c’è l’inquinamento”. Guido mi fa vedere il lato di una pietra chiara esposto all’atmosfera, è tutto annerito:
“E’ la polvere nera che viene dal cielo. Quando l’Enel inquinava di più, gli effetti si vedevano anche qua. Il virus ha bloccato le attività e ha reso l’aria più salubre. Per la prima volta dopo decenni era sparita la cappa su Spezia e su Sestri Levante, ora sta cominciando a tornare. Le api sono venute dopo decenni, ora sono di nuovo sparite”.
Le stalle attorno alla casa sono abbandonate, il tetto è crollato. Gran camminatore, Guido scende ogni tanto fino a Sesta Godano a comprare, sono più di due ore all’andata e al ritorno. Per fortuna qualcuno sale e lo rifornisce di farina. Ha accettato la corrente elettrica già qualche decennio fa, ha un cellulare e una radio. L’acqua è di una vicina sorgente. Potrebbe andare a vivere a Sesta Godano, c’è chi lo ospiterebbe:
“Qui c’è freddo, ma è più secco, a Sesta è più umido. Non scendo giù, abitare a Sesta per me significherebbe andare in galera”.

LA “STRADA DEI CARRELLI”
Da Canaverbone si sale, in una mezzoretta, al pianoro del monte Malone (1140 m.), che vedete nella foto in alto. Lungo il sentiero, vicino a una frana, si ammira tutto il versante verso lo Zerasco: in basso c’è Chiusola, sopra c’è il boscoso monte Antessio, poi il passo dei Due Santi, con le pale eoliche, infine la vetta del Gottero. Nel sentiero che porta al Malone comincia la “strada dei carrelli”, dove lavorava il padre di Guido: costruita alla fine dell’Ottocento, era una strada ferrata lunga 32 chilometri, con carri trainati da animali per il trasporto del legname del Gottero. “La ferrovia Spezia-Genova -racconta Guido- fu costruita con la nostra legna”. Per decenni l’enorme macchia di faggi del Gottero venne sfruttata in modo intensivo, sia per la produzione di carbone vegetale, sia per legname pregiato e da costruzione. Questo, trasportato con i carrelli, giunto sul ciglio del burrone del monte Molletta -lungo la strada da Chiusola a Orneto- sovrastante il torrente Adelano, veniva fatto rotolare fino all’acqua. Qui, sfruttando la spinta di una piena creata in modo artificiale, tramite una diga, il legname raggiungeva il fondo valle, ad Airola, dove c’erano le segherie.
Il progetto di recupero della “strada dei carrelli” è stato voluto e realizzato dal Comune di Sesta Godano, in particolare dal Consigliere Antonio Tosi, un amico che mi ha sempre accompagnato. Solo questa volta non c’era, per un problema di salute. Ma presto saliremo ancora assieme, qualche tratto della “strada” mi manca ancora.
Dal monte Malone si raggiunge Ca’ Menage, sopra Chiusola, e il vicino Cippo ai partigiani sul monte Pitone, percorrendo un sentiero che ha qualche tratto di difficoltà. Si può partire anche dal Cippo, raggiungibile a piedi da Chiusola, ma anche -agevolmente- in macchina su strada sterrata. Dal Cippo, dove sono stati collocati alcuni metri di binari recuperati sottoterra, si può scegliere la direzione Malone-Canaverbone, ma anche quella verso Adelano e lo Zerasco. Anche questo tratto, che ho percorso in parte, è di grande interesse. In tutti i sentieri della “strada dei carrelli” si possono osservare numerosi ambienti nei quali l’uomo aveva organizzato attività di lavoro: vecchie carbonaie, luoghi di pastorizia e alpeggio, castagneti ed essiccatoi, boschi cedui. Tutta la “strada dei carrelli” è percorribile non solo a piedi, ma anche in mountain bike. Ed è quasi tutta nel bosco, al fresco: ci si può andare anche in piena estate.

LA RICETTA DEL PANDOLCE DEL GOTTERO
Con l’aiuto di Guido e del libro “Le antiche ricette del monte Gottero”, curato dall’associazione Buto Cultura, proseguiamo il viaggio alla scoperta dei “sapori da non perdere”, iniziato domenica scorsa. Grazie a Guido potrei raccontare a lungo su come preparare a levà, o pan de cà, o tutti i piatti a base di farina di castagne. Soffermiamoci, come promesso, sui dolci, scegliendo il classico dolce dei tempi lontani, il pandolce (busciulan “pandusi”). Lo si inzuppava dentro mezzo bicchiere di vino dolce a fine pranzo, in occasione delle feste. Non si usava pesare gli ingredienti, che si mettevano “ad occhio”: zucchero, quattro uova, due cucchiai di olio d’oliva, poco latte tiepido, burro sfuso, scorza di un limone grattugiato, sugo di un limone spremuto, mezzo bicchiere di grappa, una bustina di lievito. Ecco la preparazione: impastate con un grosso cucchiaio di legno in capiente tegame tutti gli ingredienti messi “ad occhio”; versate l’impasto a forma di pane in una teglia imburrata e infarinata; cuocete a calore moderato per 40 minuti, sfornate e spolverate con lo zucchero. Da mangiare freddo, naturalmente.

GUIDO E I GRANDI AVVENIMENTI DELLA RESISTENZA
Nessuno come Guido, forse, è stato testimone di tutti i grandi avvenimenti della Resistenza spezzina. Canaverbone, e la casa di Guido, hanno infatti sempre ospitato i partigiani durante i rastrellamenti. E a Canaverbone, e nel vicino monte Malone, gli alleati effettuavano aviolanci di armi e altri materiali per i partigiani.
Guido accompagnò due volte Piero Borrotzu, il “tenente Piero” di Giustizia e Libertà (si veda l’articolo di domenica scorsa), verso Chiusola. Anche la sera del 4 aprile 1944:
“Borrotzu veniva da Groppo. Due persone di Groppo avevano fatto la spia, a Chiusola arrivarono i tedeschi. I partigiani sapevano chi erano le spie, ma riuscirono a farla franca”.
Sul pianoro del Malone avvenne il “fattaccio” riguardante Dante Castellucci “Facio”, Comandante del Battaglione garibaldino Picelli. La notte tra il 20 e il 21 luglio 1944 ci fu un aviolancio, e una contesa, mai chiarita, tra i partigiani di “Facio” e quelli della banda, anch’essa garibaldina, al comando di Primo Battistini “Tullio”. Il giorno dopo “Facio” fu fatto prigioniero con l’inganno, sottoposto a un processo farsa e ucciso dagli altri partigiani garibaldini: fu la pagina più buia della nostra Resistenza. Dice Guido, in questo caso testimone indiretto:
“Sentivo parlare di ’Facio’ che aveva la banda a Cà Menage: era un Comandante amato dai partigiani, dopo la sua morte tutti sostenevano che l’accusa a ‘Facio’ di essersi appropriato delle armi dei lanci era falsa, e che ‘Tullio’ e Luciano Scotti lo avevano picchiato e ucciso”.
“Facio” morì a soli 24 anni: il 2020 è dunque il centenario della nascita. L’occasione giusta per chiedere giustizia: la restituzione della Medaglia d’argento falsa, datagli perché “ucciso dal nemico”, e la consegna della Medaglia d’oro, a lui e a tutti i combattenti della leggendaria battaglia del Lago Santo del 19 marzo 1944.
Guido ricorda, inoltre, ogni particolare del grande rastrellamento del 3-4 agosto 1944 -le cui vittime sono ricordate nel Cippo di Ca’ Menage- e della tragedia che colpì le bande, in particolare il Battaglione Vanni della Brigata garibaldina Gramsci. Giovanni Uras “Mosca”, partigiano del Vanni, mi raccontò di quando “si correva sul monte Malone a prendere i bidoni del lancio” e di quando “ci accampavamo nelle capanne dei carbonai”: molto probabilmente proprio a Canaverbone.
Ma leggiamo il racconto di Guido:
“Nel monte di fronte a Canaverbone morì un giovane partigiano spezzino, Guido Carrabino… ancora oggi per designare quel punto diciamo “dal partigiano”. Era il 3 agosto 1944, erano in 60-70 di Giustizia e Libertà, provenienti dal monte Dragnone dove avevano combattuto con i tedeschi… mangiarono a casa mia, li accompagnai in alto, arrivarono i tedeschi… quel ragazzo lanciò una bomba ma una raffica gli bucò lo stomaco prima che la bomba scoppiasse… morì, gli altri si salvarono grazie a lui. Quel giorno vidi morire anche don Angelo Quiligotti, che veniva da Zeri, morì qui. Passarono anche quelli della Gramsci, volevano ammazzare “Tullio”, il loro Comandante che li aveva traditi e abbandonati per andare con una donna… Franco Coni e Giovan Battista Acerbi con un’altra piccola banda arrivarono dopo aver combattuto al Rastrello, erano qui dove siamo seduti, li accompagnai in una casa vicina, poi partirono verso Chiusola, i tedeschi arrivarono subito dopo e bruciarono quella casa… Noi ci salvavamo perché ci prendevano le bestie e il cibo”.
La casa di Canaverbone fu un rifugio per i partigiani, infine, anche nell’altro grande rastrellamento, quello del 20-25 gennaio 1945. Molti si rifocillarono o dormirono lì, nell’inverno più freddo del secolo. Leggiamo ancora il ricordo di Guido:
“Ospitammo chi saliva verso il Gottero sfuggendo ai tedeschi. Qualcuno poi tornò indietro, fui io ad accompagnai verso Carro-Carrodano”.
Tutti i ricordi di Guido sono confermati dalle altre testimonianze e dalle fonti di archivio. Rimando, per chi fosse interessato, al mio libro “Eppur bisogna ardir. La Spezia partigiana 1943-1945”, che si sofferma ampiamente su tutti gli avvenimenti qui citati (e pubblica pure la versione diversa, su parte di essi, di “Tullio”).

GROPPO E RIO
Groppo e Rio sono i due paesini di Sesta Godano più vicini a Varese Ligure. Con una bella passeggiata si può raggiungere Buto, e da lì Costola (si veda il quinto articolo della rubrica, del 6 settembre 2020). Su Groppo è molto utile la lettura del libro dell’associazione Buto Cultura.
Sono due nuclei compatti, che ebbero per molti anni il diritto su tutta la selva del monte Gottero.
A Groppo sono di grande interesse le maschere apotropaiche e le case -fortezza. All’entrata del borgo c’è un bel palazzo che ha sulla facciata due sculture in pietra, dette “sfingi”. E poi oscuri passaggi, archivolti massicci, sottoportici.
La Chiesa di Groppo è del 1852, una costruzione nuova fatta, in stile pseudobarocco, sul posto di quella antica. E’ dedicata a San Siro. L’interno, che ho potuto visitare grazie al Parroco don Elio Bertoni e ad Anna Antognoli, è notevole soprattutto per due tele: le Storie della Passione, che uscirono dalla bottega del pittore genovese Gioacchino Assereto (1600-1650). Secondo Piero Donati nelle due opere vi fu un apporto dell’Assereto, e poi un completamento, dopo la morte del maestro, da parte di diversi allievi.
A Rio vanno ammirati la Chiesa di Santa Giustina, ottocentesca -l’interno è interessante per il putto marmoreo sottostante il pulpito e per la statua seicentesca in marmo raffigurante la Madonna col Bambino- e i ruderi del vecchio castello dei Fieschi o più precisamente del palazzo residenziale fortificato. I vecchi edifici del paese, anch’esso con le caratteristiche della fortezza, sono sorretti da strutture voltate e da grandi pilastri.
Insomma, ancora due borghi incantevoli, dalla interessante struttura architettonica rustica, con fiere comunità fortemente legate al Gottero.
Domenica prossima, terminato il nostro viaggio tra Maissana, Varese Ligure e Sesta Godano, discuteremo di idee sul futuro. Oltre le grandi strade, i centri urbani, le località turistiche più famose c’è tutto un territorio, più ampio, più complesso, assai ricco di cultura: un territorio che ha diritto al futuro. Potremo progettarlo a partire dalla consapevolezza di quanto grande sia -come abbiamo cercato di dimostrare- la memoria storica delle Terre Alte.

Canaverbone, Guido Darello
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