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Statue rimosse o da rimuovere

di Piero Donati

Lerici, una foto d'epoca della statua di Garibaldi

A proposito di statue rimosse o da rimuovere, e con un occhio alla questione del monumento a Garibaldi di Lerici, attualmente declassato come una carrozza ferroviaria prossima alla demolizione, vorrei raccontare un paio di casi nei quali mi sono imbattuto, da funzionario di Soprintendenza, negli anni in cui mi era affidata la tutela della nostra provincia.
In ordine di tempo, il primo caso fu quello del Monumento ai Caduti di Sarzana, opera di Carlo Fontana e dei suoi collaboratori, inaugurato nel 1934 da Starace come atto di definitiva sottomissione della città “perduta” di Sarzana (prendo a prestito il titolo di un film di un regista lericino). Il monumento, volutamente ingombrante rispetto allo spazio dell’antica Piazza della Calcandola, era ed è messo in asse con l’ingresso principale del Palazzo Comunale, collocazione che trovava la sua chiave interpretativa nell’ara dei Caduti della Rivoluzione Fascista, dello stesso Fontana, eretta nel cortile porticato del palazzo. Questa ara venne rimossa subito dopo il 25 aprile 1945 e non si sa che fine abbia fatto mentre, per quanto riguarda il monumento, ci si limitò a rimuovere il fascio littorio che sovrastava le lapidi dei caduti.

Alla fine del secolo scorso sia la parte bronzea del monumento (la cosiddetta “procellaria”, cronologicamente anteriore al resto) sia la parte marmorea vennero restaurate ed io, oltre a controllare i lavori, mi adoperai affinché l’onere a carico del Comune fosse ridotto e feci in modo che la voce più consistente, e cioè la mano d’opera, non rientrasse nel budget perché era fornita dagli allievi e dai docenti di un corso di formazione professionale per restauratori del marmo. Un giornalista mi intervistò e mi chiese, conoscendo la mia netta collocazione nel campo dell’antifascismo, se non mi sentissi in imbarazzo nel momento in cui contribuivo attivamente a prolungare la vita e la buona salute di quel ricordo del Ventennio. La mia risposta (che il giornalista esitò a pubblicare) fu la seguente: dato che i partigiani, quando avrebbero potuto farlo, non ritennero di far saltare in aria il monumento, oggi abbiamo il dovere di consentire alle future generazioni, debitamente informate, di confrontarsi con la storia recente, capendo quanto una tragedia colossale come l’”inutile strage” della Prima Guerra Mondiale potesse essere strumentalizzata come puntello per un regime dittatoriale.
Più spinoso, almeno sulla carta, è il caso del restauro della statua bronzea di Costanzo Ciano, opera di Francesco Messina, collocata nel 1941 sul lungomare della Spezia e sottratta nel 1945 (da chi?) alla prevedibile distruzione. Dopo essere stata nascosta in un luogo a me sconosciuto da parte degli amici di quel Junio Valerio Borghese che proprio alla Spezia – alla Birreria Dreher, oggi non più esistente – aveva fondato la Decima Mas, la statua colossale, priva del basamento in pietra, riapparve nei primi anni Settanta nell’ambito del Museo Navale. Nel 2001 la Soprintendenza alla quale appartenevo si assunse l’onere di progettare, con fondi straordinari derivanti dai proventi del gioco del lotto, un nuovo Museo Navale e firmò con la Marina Militare apposita convenzione al riguardo; io ebbi l’incarico di curatore scientifico del progetto e del relativo allestimento e mi posi il problema della statua di Ciano, padre di quel Galeazzo che aspirava ad essere il delfino di Mussolini e ne aveva sposato la figlia Edda. Dal punto di vista artistico Messina aveva saputo emanciparsi, pur senza negarla, dalla retorica di regime e quindi questo bronzo poteva e doveva essere salvato dal degrado e poteva diventare parte dell’allestimento museale. Per questo progettai e diressi i lavori di restauro con fondi dello stato; i lavori si svolsero all’interno dell’Arsenale ed i restauratori ebbero la piena collaborazione delle maestranze: e non si trattava certo di nostalgici.

Il nuovo museo, progettato dall’architetto Enrico Pinna e dai suoi collaboratori, non potè però essere realizzato a causa delle molte spese impreviste e del dichiarato disinteresse dei vertici della Marina Militare, che non si adoperarono affatto per il reperimento di risorse ulteriori; la statua restaurata di Costanzo Ciano fu ricollocata nel giardino del Museo Navale in significativa coincidenza con l’apparizione, sul banco dei souvenir del museo, di gagliardetti e altri oggetti ispirati esplicitamente alla Decima Mas. In questo caso, mi pentii di aver messo mano al restauro della statua bronzea e di aver peccato di ingenuità.
Questi due casi potrebbero insegnarci qualcosa nel momento in cui ci ponessimo il problema di restituire la perduta dignità al monumento che Lerici volle erigere a Giuseppe Garibaldi? Recenti indagini hanno consentito di appurare che il nizzardo, in gioventù, ebbe il comando di navi adibite al trasporto, dalle coste asiatiche alla California, dei coolies, cioè dei lavoratori cinesi che, in regime di semischiavitù, erano usati a migliaia per i lavori più duri negli Stati Uniti. Dobbiamo dunque decretare il bando al futuro Eroe dei Due Mondi? Nella biografia di un uomo, conta di più un singolo episodio o il quadro d’insieme? Per quanto mi riguarda, non ho dubbi e propendo per la seconda ipotesi, senza ovviamente auspicare che la ricerca storica cessi di scavare impietosamente là dove c’è ancora da scavare.
Per questo ritengo che l’erma marmorea di Garibaldi, a differenza di tante effigi di Padre Pio che hanno invaso spazi pubblici e privati negli ultimi anni, abbia il diritto di essere rispettata e ben conservata e dato che la piazza lericina che ne reca il nome è stata irrimediabilmente modificata con un insulso e costoso restyling, dobbiamo seriamente porci il problema di una diversa collocazione, preceduta da un attento restauro.

Piero Donati