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Dal golfo a cremona

"Lunezia: 2.5 milioni di abitanti, 210mila imprese e risposte ai cittadini"

Un convegno lericino rilancia il progetto della regione emiliano lunense. Sammartano: "Unirebbe eccellenze". Banti: "Riva sinistra del Magra non c'entra con Liguria". Benelli: "Ci saranno sorprese".

Lerici, convegno a tema Lunezia

Ragioni storiche, culturali e politiche: ecco perché s’ha da fare la Lunezia, regione che unisce le province della Spezia, di Parma, Piacenza, Massa Carrara, in parte di Lucca, Mantova e Cremona. Questo il verbo emerso mercoledì scorso dalla sala consiliare di Lerici in occasione di un convegno promosso dal Lions Lerici Golfo dei Poeti. Introdotti dal presidente del sodalizio, dottor Romolo Briglia (che ha consegnato la tessere onoraria al dottor Paolo Ghigliazza), e ascoltati dal padrone di casa, il sindaco Leonardo Paoletti, sono intervenuti l’avvocato Piergino Scardigli (presidente TiBre), il professor Giuseppe Benelli e l’ex senatore Egidio Banti – questi ultimi entrambi animatori dell’associazione Lunezia -, moderati dall’assessore Aldo Sammartano, che non ha fatto mancare il suo contributo alla discussione. E se la relazione di Scardigli si è concentrata sulla grande e incompiuta partita della Pontremolese (QUI), Benelli e Banti hanno praticato il versante storico e socioculturale. Il presidente dell’Accademia Capellini ha esordito di fronte a un pubblico di un centinaio di persone evocando “i comunalia, istituto preromano che stabilisce come i pascoli in vetta siano di tutti, perché le cime sono divine, e Dio non appartiene a nessuno. L’Appennino toscoemiliano unisce, non divide. Parma è legata al nostro territorio”. Di qui Benelli ha operato una digressione sull’atavica spinta dei ducati emiliani a cercare il loro sbocco sul Tirreno, sulla nascita con l’unità d’Italia di una regione emiliano lunense che comprendeva Parma, Piacenza e Pontremoli, e ancora sul ridisegno post unitario “che vide crearsi una situazione con aspetti paradossali: la provincia di Genova che arriva fino a Nicola di Ortonovo, comprendendo Lerici e Sarzana. Una Genova che vuole difendere e tutelare il suo porto non può consentire al Golfo della Spezia di sorgere in maniera autonoma. Ecco perché Genova nella storia spezzino lunigianese è sempre stata considerata matrigna”.
“L’esigenza di trovare un legame tra il territorio emiliano e lunense – ha continuato Benelli – è particolarmente sentita”. Alfiere di questa battaglia nell’immediato secondo dopoguerra è il parmigiano Giuseppe Micheli, esponente popolare che a Roma, in commissione, “grazie al suo carisma ottiene unanime consenso per la creazione di una regione emiliano lunense (Spezia, Parma, Modena, Piacenza, Reggio e il circondario di Pontremoli, ndr)”. Un’idea che però non trovò strada spianata, anzi venne arrestata da un ordine del giorno di compromesso – correva l’anno 1947 – che sosteneva come non ci fossero elementi sufficienti per procedere a una seria rideterminazione delle circoscrizioni regionali, pur non escludendola per il futuro. Tra gli oppositori dell’idea di Micheli – che morirà nel ’48 privando il sogno Lunezia del suo più tenace fautore – c’era anche Nilde Iotti, “la quale scrisse un articolo, commissionato da Togliatti, i cui sosteneva l’identità unica dell’Emilia Romagna”. Benelli ha chiuso sottolineando che “la speranza nella nascita di una regione emiliano lunense, di cui si è ricominciato a parlare dagli anni Sessanta purtroppo senza una figura dello spessore di Micheli, resta dentro il cuore di tanti studiosi e appassionati. La storia ha più fantasia degli uomini: il futuro potrà quindi donarci delle sorprese”.

“Non è facile arrivare a una nuova regione: la Costituzione dice che servono almeno un milione di abitanti – e nel nostro caso ci siamo -, ma anche pronunce favorevoli di consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione e, ancora, ci vogliono i pareri positivi delle regioni. Cioè tre o addirittura quattro allargando il discorso a Mantova e Cremona. Non è facile, visto che una regione non è contenta di perdere province, a maggior ragione se ricche”. Così il professor Banti, che ha osservato come “il territorio della Lunezia è molto più unitario di quelli di Liguria ed Emilia Romagna” e, tra le basi culturali dell’ipotetica regione emiliano lunense, ha impiattato un elemento lessicale e gastronomico: “Il confine tra raviolo e tordello parla chiaro. A Sarzana si mangiano i tordelli. La riva sinistra del Magra non ha niente a che fare con la Liguria. Poi c’è Lerici, che è al confine, e Spezia, di cui si può discutere”. L’ex sindaco di Maissana ha invitato tutti i ‘luneziani’ a impegnarsi partendo non da ideologia o posizioni di principio, ma da interessi reali, anche di carattere culturale”. E a questo proposito ha menzionato il censimento delle maestà della Lunezia intrapreso dal Cai di Sarzana lungo i sentieri appenninici: “Finora – ha detto – ne sono state catalogate trecento in Liguria e oltre 1.200 nella Lunigiana toscana. L’operazione adesso continuerà in Emilia. In totale parliamo più di tremila maestà che costellano percorsi antichi su un Appennino che non divide, diversamente dal Bracco… quello sì che è un confine”.

“La Lunezia – ha affermato Sammartano – comprenderebbe circa due milioni e mezzo di abitanti e 210mila imprese, cioè il 50 per cento in più della Liguria. Convoglierebbe eccellenze di vari settori: nautica, meccanica, agroalimentare, lapideo, turismo. E sarebbe una struttura in grado di dare risposte ai cittadini e al mondo delle imprese, non a caso in questi anni le associazioni degli industriali hanno tenuto in vita la memoria del progetto”. L’ingegnere ha parlato di “debolezza di Spezia rispetto alla Liguria e di Parma rispetto all’Emilia Romagna, elementi che hanno costruito le premesse perché il sistema infrastrutturale tardasse molto”. Tra le infrastrutture c’è naturalmente la Pontremolese, “che non solo migliorerebbe il trasporto merci, ma altresì quello passeggeri. Un’opera verso la quale si sono espresse con favore anche le forze ambientaliste”. L’assessore ha poi ricordato come “il porto della Spezia in una determinata fase della storia è stato visto in competizione con lo scalo di Genova e quindi una sua infrastrutturazione poteva essere addirittura pericolosa. E quando si è fatta l’Università alla Spezia, Genova ha messo il veto perché non fosse coinvolto anche l’ateneo di Pisa”. La fotografia scattata dall’ex numero uno della Camera di Commercio è quella di “una provincia spezzina che soffre in tanti campi. Attraverso la società civile dobbiamo ritrovare il modo di difendere gli interessi dei nostri territori, che oggi non sono sufficientemente rappresentati”.

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