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Digi-Mare: La Spezia Futura

La torta di riso è finita (e nessuno la riordinerà)

Import 2018

Un fatto di cronaca recente – il lancio di alcune patate all’indirizzo di ragazzine locali, ree di star chiacchierando alle 11 di sera sotto una casa alle Cinque Terre – mi ha condotto ad affrontare più in generale il tema del turismo alla Spezia e provincia.
Le mie tesi sono due, e sono semplici.

La prima: il turismo da solo non fa vivere nessuna città, nessuna regione, e nessun Paese. Esiste una quota “sana” di PIL di una città, regione o Paese che deriva da questo settore e dal suo indotto, ma una città, regione o Paese non può vivere esclusivamente di turismo. Tolte le destinazioni-paradisi tropicali (Maldive, Seychelles, Bahamas…) che effettivamente campano principalmente dei soldi che i turisti vi portano (ma non mi sembra il modello di sviluppo da seguire), nel resto del mondo che tendiamo a definire “sviluppato” il turismo contribuisce in una fetta tra il 10 e il 15% del PIL totale. In Francia, che è un Paese ben più visitato del nostro, la contribuzione del turismo al benessere nazionale si attesta sotto il 9%, in Spagna arriva al 15%. In Italia il turismo vale il 13% del PIL, dato che può essere sicuramente migliorato, ad esempio con una comunicazione più mirata e incisiva rispetto ai fallimentari tentativi precedenti dei portali governativi (Italia.it e i suoi fratelli), ma che mai può ambire a farci diventare un Paese dove “possiamo vivere di turismo”. Ci serve ancora la manifattura, ci servono imprese, ci servono un terzo e quarto settore che trainino l’economia e diano lavoro a una Repubblica che su quello pare fosse stata inizialmente fondata. E per fortuna, ci serve altro! ho già trattato altrove il tema della “Generazione affittacamere”, e dei rischi che comporta, anche a livello di costruzione della classe dirigente, politica e non, del nostro Paese. Ci meritiamo insomma un turismo che funziona, ma che sia solo una delle plurime vocazioni di questo Paese.

La seconda mia tesi è un po’ più forte, ed è: non siamo una città turistica. O meglio, abbiamo morfologicamente un territorio che è stato baciato dalla sorte – cosa di cui non abbiamo NESSUN merito, è bene ricordarlo – ma non abbiamo sviluppato praticamente nessuna – NESSUNA, salvo rarissime eccezioni su cui un’analisi non può basarsi – capacità imprenditoriale. Cosa di cui invece abbiamo TUTTE le colpe.
Certo, per un po’ abbiamo giocato sul nostro essere burberi, che inizialmente può risultare anche divertente e simpatico – la famosa “torta di riso finita” – ma nel lungo periodo c’è bisogno che chi opera nel settore, e i cittadini tutti, sviluppino una mentalità davvero turistica, prima che la gente fugga ancor prima di “mordere”. Il che non vuol dire diventare la Riviera Romagnola dal giorno alla notte, ma neanche continuare a sfruttare rendite di posizione e case ereditate dai nonni senza avere la visione di costruire intorno ad esse dei servizi, anche i più basilari. In questo la colpa è congiunta, ma risiede molto più nella scarsa intraprendenza dei singoli – in NOI, in sostanza – che nelle istituzioni a cui così spesso ci risulta di sollievo scaricare il barile.
Per suffragare la tesi, vi narro una piccola esperienza personale che credo sia molto significativa. Quest’estate, il noto portale Airbnb, che insieme ad altri suoi simili dà lavoro a parecchie persone di questa provincia, ha organizzato un evento di formazione di marketing sul territorio, a Levanto, per valorizzare quelle che loro chiamano le “Experiences”: esperienze organizzate dai locali e che possono essere tour guidati, classi di cucina, corsi di fotografia e quant’altro. Un corso di formazione GRATUITO, con docenti molto competenti, fatto a domicilio, e comunicato a TUTTI grazie a un invio massivo di email. Cosa chiedere di più?
Che qualcuno ci andasse, magari, dato che l’evento è stato cancellato il giorno stesso, come mi è stato comunicato prontamente dalla solerte organizzatrice, per mancanza di adesioni.
Ecco quindi svelato perché la torta di riso, dalle nostre parti, è perennemente finita. Perché la verità è che nessuno ha la voglia, fame, urgenza, di riordinarla.