tantoneghevenoandae

"Piupiupiupiupiupiupiupiupiupiu!!!"

Vi ricordate come eravate vent’anni fa?
Drogati e sessualmente attivi, immagino.
Il 30 luglio 1996, quando ancora mi masturbavo guardando “Non è la Rai”, nasceva a Udine uno fra tanti, uno di quelli che ancor prima di togliere il ciuccio dalla bocca, avrebbe ben presto coltivato le proprie fanciullesche fantasie tirando calci ad un pallone, magari un tango o un supertele.
Oggi, vent’anni dopo, i sogni del popolo bianco si concentrano nei piedi di quel ragazzino, che si chiama Alessandro Piu.
Ovviamente io non mi masturbo più con “Non è la Rai”. Oggi lo faccio solamente sotto doccia, Per quanto possa dare fastidio ai miei compagni di calcetto.
Ma torniamo a quel ragazzino.
È arrivato a Spezia nella pressoché totale indifferenza, perché noi siamo quelli che ogni estate ci esaltiamo solo con i grandi nomi, ben sapendo, inconsciamente, che per fare breccia nei nostri cuori ignoranti il curriculum da fenomeno non è mai contato un belino.
Puoi aver giocato tanti anni in serie A, puoi aver vinto dei gran campionati e puoi aver preso tutta la figa di questo mondo, ma il tassametro del nostro cuore inizia a scorrere solo dal momento in cui calpesti il rettangolo verde con la nostra casacca bianca.
Perché alla fine siamo così, quelli che si innamorano di chi parte a fari spenti, di chi indossa quell’umiltà e quell’attaccamento che è tanto caro ad ogni piazza di provincia che si rispetti.
Lo Spezia di oggi non esprime certo un calcio spettacolare ma è gagliardo e fortunato quanto basta per superare l’ostico Novara conservando l’imbattibilità dopo sei giornate.
Questa squadra mi ricorda tanto una ragazza che ebbi modo di frequentare ai tempi delle superiori, una di quelle che potevo ottimisticamente considerare alla mia portata.
Anche perché aveva più baffi di me.
Per ragioni di privacy la chiamerò Ignota 1. Anzi no. Mi piace di più Mignota 1.
Mignota 1 era la classica ragazza che considerava il sesso anale come il traguardo di un ponderato e complesso percorso di costruzione dell’intimità della coppia.
Percorso che nel suo caso era lungo più o meno due prosecchi, ma non è di questo che volevo parlare.
Diciamo che Mignota 1 era la classica tipa brutta di faccia ma con un bel culo.
Questo Spezia, ad onor del vero, oltre a quel briciolino di fortuna mostra di avere altro, ovvero quella voglia e quel temperamento che tanto piace a coloro che settimanalmente violentano le corde vocali sui gradoni di ogni stadio dello stivale.
Insomma vinciamo 1-0.
E ci pensa questo ragazzino.
Faccia pulita di chi non ha tanti cazzi per la testa e piede destro a sfiorare il pallone della Puma.
Gamba sinistra in allungo e calzettoni tirati su, quasi a coprire le ginocchia, praticamente con le autoreggenti.
Ai piedi un paio di Nike dal colore indefinito con baffo nero sulla punta.
Un metro e ottantacinque di eleganza calcistica e sguardo alto, a scrutare l’orizzonte, a cercare una sponda di Nenè o un cristone di Di Carlo.
Che cazzo di meraviglia il ragazzino.
Siamo solo all’inizio, per carità. Abbiamo visto solo poche partite e chissà cosa vedremo da qui alla fine.
Ma a noi ci basta poco per fantasticare.
Perché in fin dei conti il calcio è anche questo, una favola infinita, che dura da luglio a giugno, dove vittorie e sconfitte si intrecciano ciclicamente anno dopo anno, stagione dopo stagione, mescolando gioie, dolori, speranze e frustrazioni.
È come dare un pallone ad un bambino.
Alla fine non importa se un domani quel bambino diventerà un campione.
Ciò che conta è solo quella favola che si materializza nella sua testa, mentre i suoi occhi ingenui osservano la palla che rimbalza contro il muro di casa.
In curva ci sono quattromila bambini, molti dei quali con evidenti deficit psico motori, che non hanno la minima intenzione di diventare grandi.
E soprattuto ora, che c’è un ragazzino venuto da lontano, con indosso la maglia numero 23, che ha lasciato il cortile di casa per partecipare alla nostra romantica e ignorantissima favola.
In questo momento non importa come finirà, conta solo che la scriverà insieme a noi.
Quanto a Mignota 1, beh, si sa come vanno a finire certe storie.
Incontri una donna, te ne innamori, cominci a chiederti se per caso non si tratti della compagna della tua vita, poi il rapporto si incrina, lei ti lascia, tu la molesti, patteggi la pena e poi ti perdi vista.
Comunque ho pianto di più quando è finito “Non è la Rai”.