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I racconti della domenica

La chioccia d’oro

di Pino Marchini

Ricostruzione di Luni Antica

“Venite a visitare il porto della Luna”, quasi uno slogan pubblicitario quello scritto dal poeta latino Quinto Ennio, vissuto tra il 239 al 169 a.C., nel I libro degli Annali, versi 12,16. Lunai portum, est operae, cognoscite cives
(Il porto della Luna venite a visitare, cittadini, val la pena)
.

Furono i Greci, secondo lo storico e geografo Strabone (64 a.C.-24 d.C.), a chiamare l’arcuata e profonda insenatura della foce del fiume Magra: porto di Selene (della Luna). Un porto naturale già utilizzato, tra il IV e il III secolo a.C., dagli etruschi e successivamente anche dai romani che lo ribattezzarono portus lunae. Solo nel 177 a.C, durante la feroce guerra tra Roma e i Liguri Apuani, i triumviri Publio Elio, Marco Emilio Lepido e Gneo Sicinio fondarono, dove sorgeva un accampamento romano, la colonia di Luna. La città che prendeva il nome dal porto fu dedicata alla dea protettrice Luna-Diana in onore della quale fu costruito il grande tempio nella parte nord est della città.

Il porto e la vicinanza alle cave di marmo, già conosciute, delle Apuane determinarono la fortuna, lo sviluppo e la grandezza della città che visse il suo maggior splendore durante l’impero di Ottaviano Augusto. Infatti partivano dal porto di Luna grandi navi che trasportavano blocchi, lastre di marmo, laterizi prodotti nelle piccole fornaci della città
e prodotti alimentari (vino, grano e formaggi) molto apprezzati sulle tavole delle ricche famiglie romane e tanto decantati da Marziale nei suoi Epigrammi. La grandezza e la prosperità della città continueranno anche nei secoli successivi, almeno fino alla fine del quarto secolo, quando fu distrutta in parte da un forte terremoto.

È così infatti che si presenta la città agli occhi del poeta Claudio Rutilio Namaziano di ritorno da Roma via mare nel 416 d.C.: Advehimur celeri candentia moenia lapsu; nominis est auctor sole corusca soror. Indigenis superat ridentia lilia saxis et levi radiat picta nitore silex; dives marmoribus telus,quae luce coloris provocat intactas luxuriosa nives.
Rutilio Claudio Namaziano sec.V d.C. (De reditu suo, II,63-68). Fummo trasportati davanti a una città dalle mura demolite, / che porta il nome della lucente sorella del sole, / dove il bianco delle pietre supera il candore dei gigli / e la selce irradia un tenue nitore; / una terra ricca di marmi che splendendo di colori / sfida la lussureggiante e incontaminata neve.

Una città che, nonostante il suo splendore e la ricchezza dei suoi marmi, aveva ancora le mura rovinate dal terremoto e faticava a recuperare la sua antica grandezza, evidenziando l’inizio del suo imminente decadimento. Negli anni successivi, dopo l’occupazione di Narsete nel 552. Luni divenne una provincia bizantina di scarsa importanza. Fu il re longobardo Rotari a distruggere la città nel 643 e a ridurla ad un villaggio sotto il potere dei vescovi. Le incursioni saracene e quelle normanne nei secoli seguenti e l’impaludamento del porto portarono al totale abbandono della città. Gli abitanti superstiti si spostarono verso aree più sicure a monte della foce del fiume Magra e sulle colline vicine.
Nacquero così Sarzana e gli insediamenti di Nicola, Ortonovo, Vallecchia e Castelnuovo.

Le leggende sulla distruzione di Luni
La più famosa delle leggende sulla fine di Luni è certamente quella della saga nordica che racconta la distruzione per mano del normanno Asting o Hasting. Carlo Caselli nel suo libro ‘Lunigiana ignota’, riporta la parte del poema di Robert Wace, poeta normanno del XII secolo, in cui si parla della distruzione di Luni da parte di Hasting e Bioern, figlio di un re normanno, ma espulso dal regno per le sue eccessive turbolenze. “Hasting e Bioern, a capo di una flotta, dopo aver saccheggiato ed essersi impadroniti di alcune città della costa atlantica della Francia e del Portogallo entrano nel Mediterraneo, depredano le isole Baleari e, sentendo parlare delle sue grandi ricchezze, puntano su Roma. Il destino li porta davanti alla città di Luni. Hasting dal mare osserva la città e crede di aver trovato Roma. Gli abitanti di Luni, alla vista di tante navi e tanti uomini armati, s’impauriscono e si chiudono all’interno delle mura. Le autorità civili e religiose radunano tutti gli uomini armati e li pongono a difesa della città. Hasting vede che la città è fortificata e ben difesa e capisce che non sarebbe stato facile conquistarla con la forza. Pensa allora che solo con un sotterfugio sarebbe potuto entrare e avrebbe potuto occupare Luni. Hasting manda dei messaggeri a dire alle autorità cittadine che non ha intenzioni cattive e che le navi sono state portate davanti al porto sicuro di Luni per fuggire a una pericolosa tempesta e non hanno ancora ripreso il largo perché, il comandante, è gravemente malato. Il normanno chiede di poter restare all’ancora nel porto fino alla sua completa guarigione e di permettere all’equipaggio di approvvigionarsi di acqua e viveri sul mercato della città, pagando il dovuto. Alcuni giorni dopo, fa sapere che il suo stato di salute sta diventando sempre più grave e vorrebbe ricevere dal vescovo i sacramenti. Gli abitanti di Luni, per garantirsi una situazione di pace e tranquillità, acconsentono alla richiesta. Ma intanto Hasting, d’accordo con i suoi compagni, studia un piano per poter entrare in città senza scatenare alcuna battaglia. Fa credere di essere morto e che prima di morire aveva espresso il desiderio di essere sepolto in città. Le autorità cittadine acconsentono alla sua sepoltura in terra consacrata. Il corpo del capo normanno, vestito con la sua miglior armatura e con la spada al fianco, viene deposto su un catafalco e trasportato dalla nave in città. Il vescovo, tutti i chierici, il conte e tutta la popolazione, partecipano alla mesta cerimonia. Celebrata la funzione religiosa, la bara viene trasportata verso il luogo di sepoltura, ma a quel punto il normanno si alza dal catafalco, impugna la spada e con un grido terrificante si avventa contro il vescovo e gli taglia la testa di netto. È il segnale dell’attacco. Alcuni dei suoi uomini vanno a chiudere le porte della città, altri si avventano con le spade sguainate contro le guardie. Uccidono il conte, le altre autorità e decimano la popolazione inerme. Pochi si salvano. Quando l’orda barbarica si accorge di aver occupato Luni e non Roma, dopo aver depredato tutto ciò che si poteva, dà fuoco alle abitazioni e distrugge tutto. Quando Hasting e la sua ciurma riprendono il mare, di una grande città bianca di marmi e ricca di beni della natura non resta che un ammasso di rovine”. Un’altra leggenda successiva, altrettanto cruenta, racconta che la città sia stata distrutta, per vendetta, da un non ben precisato imperatore per punire il signore di Luni, colpevole di aver insidiato e portato a letto l’imperatrice sua moglie. Il Signore della città di Luni aveva avuto modo di ospitare l’imperatore, la sua consorte e il suo seguito durante un loro viaggio verso Roma. Il soggiorno a Luni, città accogliente e sicura, fu prolungato per una epidemia che si era scatenata a Roma e a causa delle incursioni barbariche che devastavano le città sulla costa lungo la via Romea. Durante tale permanenza il signore di Luni, giovane di grande avvenenza e di modi cortesi, ebbe grandi attenzioni verso la coppia imperiale ed in particolare per la giovane imperatrice che ricambiò amabilmente queste attenzioni, tanto che tra i due nacque una forte passione amorosa, consumata segretamente nelle stanze del palazzo signorile. Quando l’imperatore decise di riprendere il viaggio verso Roma, i due amanti trovarono il modo di non separarsi con uno strattagemma: grazie ad una pozione di erbe l’imperatrice finse di morire. Fu celebrato il funerale con tutta la solennità del caso e, come usava a quel tempo, la bara fu deposta in una tomba fatta erigere per l’occasione dal signore di Luni. Dopo il luttuoso evento, l’imperatore e il suo seguito ripresero la via alla volta di Roma. La finta morta fu fatta uscire dalla tomba e trasferita nel palazzo signorile dove visse more uxorio con il giovane signore della città. La notizia dell’inganno non tardò ad arrivare all’orecchio dell’imperatore e non tardò neppure la sua vendetta. Il sovrano tornò a Luni con un esercito, mise sotto assedio la città, catturò i due amanti e li fece giustiziare dopo averli sottoposti a lunghe e dolorose torture. Da ultimo mise a ferro e fuoco la città distruggendola, i pochi superstiti, scampati al massacro, si rifugiarono lungo la valle del fiume Magra e sulle colline circostanti, dove costruirono una nuova città e nuovi paesi.