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Una storia spezzina

Il convento delle clarisse: i suoi usi e la sua storia

di Alberto Scaramuccia

I resti del convento delle clarisse

Superata l’Accademia Capellini e oltre gli ascensori, via XX Settembre compie una curva abbastanza stretta: là, sul Poggio, sotto il Castello e verso monte si apre lo spettacolo di rovine che dopo anni non sono state ancora sanate.
Là era il monastero delle monache clarisse di Santa Cecilia. Unico convento femminile nel territorio, a cospetto di ben quattro cenobi di frati, se ne comincia a parlare quando il 21 settembre del 1593 si dà inizio alla sua costruzione.
È storia interessante questa del monastero che dopo la conversione al civile operata dai Francesi nel 1798, accolse le scuole pubbliche forzatamente allontanate dall’ex convento degli Agostiniani (stava all’inizio della piazza che ricorda la loro presenza) che era stato ben presto adibito a caserma. Mentre le monache lasciavano la Spezia per trasferirsi nel monastero di Albaro, l’antico convento del Poggio rimase scuola fino al 1880 quando diventò ricovero e manicomio intitolato a Giuseppe Mazzini, con temporaneo utilizzo anche come lazzaretto nel corso della prima ondata di colera nel 1884. In periodi successivi rivestì la funzione di ricovero dei “vecchietti” fino a che restò in piedi dopo una vita iniziata ben tre secoli e mezzo prima.
Può forse essere interessante rammentare che, non essendoci i soldi per completare la costruzione che durò quasi mezzo secolo, gli Spezzini ottennero da Genova di finanziare i lavori vendendo le ziffre, l’antica parola spezzina oggi perduta in un oblio da cui abbiamo cercato di risollevarla qualche puntata fa. Le ziffre, come i polder olandesi, erano terre strappate al mare che, diventate produttive, il demanio alienava a favore di privati.
Nella storia della fabbrica compare anche un tentativo di speculazione immobiliare. Succede che nel 1616 si sollevi la questione dell’opportunità di alloggiare le monache in mezzo a due strutture (castello e convento degli Agostiniani) popolate entrambe da maschi più o meno vigorosi. Siccome si sa che la tentazione non arretra neppure dinanzi a mura consacrate che anzi, come c’insegna la vicenda di Gertrude, per la perversione accrescono la lusinga, si propone di sistemare le suore nell’oratorio di San Carlo posto nell’omonima via che oggi chiamiamo Sapri, dove allora si stendeva il lato meridionale delle mura. La realtà è però che al Poggio si vuole trasferire l’ospedale di Sant’Andrea che dall’inizio del Quattrocento stava in uno stabile di via Biassa vicino alla porta la cui presenza oggi è ricordata da una targa infissa nel muro di BankItalia.
Tuttavia, dopo tanti progetti, l’operazione non andò in porto e le monache, dopo la tanta pruderie iniziale, si sistemarono al Poggio.
Tutta questa storia sta dietro quattro muretti smozzicati che le architette Lazzeri e Scapazzoni non molto tempo fa hanno ricostruito nel loro percorso con una ricerca paziente e meticolosa. L’auspicio è che dal loro lavoro possa prendere le mosse un’attività di recupero di questo bel patrimonio che molti Spezzini ignorano di possedere.