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Gino Zavanella, il padre dello Juventus Stadium: "Il Picco ha un’identità forte"

L'architetto torinese è stato in città su invito dello Spezia Calcio per un sopralluogo all'impianto di Viale Fieschi. "Un esame dello stato di fatto. Ora inizierà una riflessione con le carte in mano".

Gino Zavanella

Se c’è un nome in grado di mettere d’accordo i tifosi di tutta Italia, è il suo. Quello dell’uomo che trasforma i sogni in realtà. Quando la montagna della burocrazia è scalata, i finanziamenti sono cosa certa e la volontà di club e enti locali è concorde, allora quello che è uscito dalla matita di Gino Zavanella può finalmente diventare realtà. Architetto classe 1944, torinese per nascita, romano per professione e viareggino per amore, è il pioniere che sta cercando di portare gli stadi italiani nel terzo millennio oltre a lavorare in mezzo mondo.
Era alla Spezia una settimana fa con i suoi ingegneri, gli uomini dei calcoli, per dare un’occhiata approfondita allo stadio “Alberto Picco”. “Un esame dello stato di fatto”, dice il professionista. Mentre lo Spezia metteva a segno gli ultimi colpi del mercato, il direttore generale Umberto Marino accompagnava Zavanella all’interno dei locali di Viale Fieschi. “C’ero già stato in effetti, ma solo da spettatore a vedere qualche partita dello Spezia”.
Se nascerà un progetto per un nuovo stadio “Alberto Picco” è presto dirlo. Di certo il club non ha intenzione di farsi trovare impreparato in caso la promozione programmata in tre anni dovesse arrivare prima. E così si è rivolto al padre dello Juventus Stadium, il più moderno degli stadi della Penisola. Un rapporto non nuovo quello di Zavanella con gli uomini della Social Sport, visto che suo sarà il nuovo Cantrida di Fiume, la casa del Rijeka “cugino” del club di Via Melara.

Due giorni di sopralluoghi al “Picco” per ripartire con una pila di documenti da studiare.
“Alla Spezia ho tanti amici, è una bella città che conosco bene. Siamo ripartiti portando via un po’ di foto e di documenti e alcuni rilievi. Materiale che si servirà per fare delle riflessioni. Non abbiamo stabilito niente e neanche avuto indicazioni precise in questa fase. E’ stato un esame dello stato di fatto. Stiamo chiacchierando con lo Spezia Calcio e la prima cosa da fare era conoscere lo stadio nel suo sviluppo. Luoghi e strutture, in modo da capire le potenzialità che potrebbe avere questo impianto. Poi eventuali sviluppi e scelte non mi competono, ma saranno appannaggio della politica e della città”.

Un contesto non facile quello dello stadio spezzino, incassato tra il centro storico, le colline e la base navale. Sicuramente peculiare.
“Certo, ha detto quasi tutto lei. Lo stadio è abbastanza vecchio e presenta una capienza che credo sia sufficiente per una buona serie B ma insufficiente per fare un’ottima serie B o peggio ancora un salto di categoria. Al momento però non ho gli elementi per dire tanto di più. Lo stiamo studiando, ma siamo proprio agli albori del lavoro. Non parliamo di progetti, niente di tutto questo. Devo conoscere innanzitutto le esigenze della città e la volontà della proprietà. C’è stata una presa d’atto. Ha difetti e pregi, come il fatto di essere inserito all’interno della città. Dico che quando ci sono stadi come questi, che entrano con grande forze nella memoria collettiva, è difficile pensare di spostarlo”

Capienza, spazi esterni, norme di sicurezza. C’è una ricetta oggi per creare un impianto sportivo moderno?
“Ci sono delle formule sicuramente. La sicurezza innanzitutto, ma senza trascurare la comodità e i servizi che uno stadio deve dare. Sono del parere che uno stadio sia parte integrante della città e deve ricevere e dare servizi importanti che non si fermino solo ai 90 minuti più intervalli della partita di calcio. Quando costruisci volumi così importanti, è fondamentale ampliare il tempo di permanenza oltre il match day. Questo è un concetto che deve prendere piede dappertutto. Ieri ero allo Juventus Stadium e abbiamo controllato alcuni numeri: le presenze al di fuori delle partite sono impressionanti tra museo del club, riunioni e convegni. Ho visto un meeting aziendale con 160-180 presenti. Ovvero uno enorme ristorante, che nel giorno della partita è occupato dai tifosi, pieno in un giorno infrasettimanale. Di queste manifestazioni allo Juventus Stadium ce n’è almeno una al giorno”.

Quanto pesa l’aspetto monumentale nella creazione di un manufatto come uno stadio? Forse il simbolo più conosciuto di Roma è il Colosseo dopotutto, uno stadio di 2mila anni fa.
“Quando si visita qualsiasi città ci sono alcuni archetipi che saltano immediatamente all’occhio: la cattedrale, l’ospedale e lo stadio. Sono presenze forti, contenitori con un numero di persone che supera tutti gli altri. Non c’è cinema e non c’è teatro nella città della Spezia in cui si riuniscano 10mila persone come al “Picco”. Lo stadio ha una forza magnetica unica, e l’ispirazione progettuale è importantissima di conseguenza”.

Lo stadio di Fiume promette di essere uno dei più singolari d’Europa e forse del mondo. Stretto tra la collina, a pochi metri dal mare e dalla città.
“E’ veramente in una posizione unica al mondo, con attività collaterali vicine del tutto peculiari. Nel disegnarlo mi ha ispirato il vento, ho pensato alle navi e ai vicini cantieri navali. L’osservazione del contesto deve fare parte della cultura di un architetto quando prende la matita in mano. Sono soddisfatto del progetto, è davvero un’occasione unica. Un progetto ampio con annesso un albergo, un museo dello sport e un centro commerciale in riva al mare”.

Non è facile superare l’assioma, che molti fanno, grande opera-cemento-consumo di territorio, ormai radicato sulla scorta di tante brutture costruite in Italia in passato.
“Io credo che in Italia una volta per tutte dobbiamo deciderci cosa dobbiamo fare da grandi, lo dico senza peli sulla lingua. Io ho tre o quattro progetti importantissimi fermi da due o tre anni. E in questo lasso di tempo non c’è nessuno che ti dica “sì” e nessuno che ti dica “no”. Fai le riunioni, tutti sono contenti e soddisfatti, poi torni dopo dieci giorni e tutto è come prima. La burocrazia in questo Paese ci attanaglia, ci mortifica e ci uccide. Che si decida, sì o no, ma quando è “sì” allora si faccia come a Rijeka dove dopo un anno abbiamo ottenuto la concessione”.

All’estero invece sono molto più avanti di noi nell’impiantistica sportiva. Anche i Paesi emergenti si adeguano a grande velocità.
“In Russia due anni fa abbiamo creato un progetto molto importante, costruendo quasi una città. Lo sa chi doveva decidere? Un singolo architetto dell’amministrazione pubblica. Un solo referente per un solo regolamento valido in tutta la Russia. Da noi ogni paese di mille abitanti ha il suo regolamento edilizio e le sue norme tecniche. E ogni volta che lei va a progettare e lavorare in un posto nuovo deve in pratica studiarsi le regole da zero. Fatto questo si arriva alla Conferenza dei servizi e ci sono venticinque persone da mettere d’accordo. A Palermo c’è il progetto per il nuovo campo di allenamento pronto: sono cambiate due persone e ora non c’è più nessuno che firma. Anche a Torino sono serviti otto anni per avere la concessione, con l’avvocato Agnelli e il dottor Agnelli ancora in vita a interessarsi della cosa. Guardi, ormai io mi diverto a progettare perché mi piace. Poi se lo realizzano bene, se non lo realizzano non ne faccio un dramma”.

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