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Il ritorno di BRACE

Import 2014

A otto anni da “Salvate il mio maglione dalle tarme” Mr Brace, che ora si fa chiamare semplicemente Brace, torna con un nuovo disco targato Garrincha e intitolato “Puledri nello stomaco”. Il vecchio disco era uscito con Tafuzzy Records, etichetta indipendente fondata dallo stesso Brace (che poi si chiama Davide Rastelli) e punto di riferimento per la scena indipendente romagnola e marchigiana: basta dare un’occhiata al catalogo per scorgere le opere prime di alcuni tra i progetti più interessanti del circuito italiano come Camillas, Chewingum e X-Mary.

Otto anni che vedono, da un lato, un artista più maturo e una manciata di canzoni che arrivano al dunque; dall’altro, un cambio generazionale di pubblico: gli stessi che otto anni fa avevano intorno ai 25 anni e venivano ai tuoi concerti, adesso ne hanno una trentina e la sera hanno poca voglia di uscire. Un’altra generazione, dunque, e di conseguenza un altro linguaggio. Tocca allora trovare un compromesso tra la propria storia e la preistoria delle nuove leve. A questo proposito può far gioco abbandonare momentaneamente lo spirito lo-fi della Tafuzzy Records per sperimentare un episodio discografico presso la scuderia di Garrincha Dischi, l’etichetta bolognese che negli ultimi anni ha dimostrato di saper soddisfare, meglio di tante altre, le aspettative di una certa gioventù moderatamente alternativa.
E la stessa Garrincha, dopo tre anni trascorsi senza cantautori, ne trova uno stilisticamente già definito, come fu per quelli che vissero la prima ora dell’etichetta, vale a dire 33ore e Nel Dubbio.

Ascoltando ripetutamente il disco viene da pensare che la promessa fatta da Brace a se stesso sia quella di non assuefarsi alla vita, e il motto “a volte fare prima di pensare è l’unico modo di pensare sul serio” (Caffè) sembra confermare questa linea di pensiero.
Brace è un poeta scanzonato, autore di un folk introspettivo capace di non prendersi troppo sul serio, e una leggerezza da balera romagnola schiarisce le Polaroid della sua malinconia.
Tutto è molto scarno, lampante e a tratti psichedelico, e viene da pensare che la produzione Garrincha faccia suonare il disco forse troppo pulito e radiofonico e poco lo-fi, rispetto alla gamma timbrica potenziale di brani come “Olio per cervella” “Caffè” e “Lattaio”, lasciando invece “Nausea” (firmato da Mattia Burattin) trasudare tutta la sua polverosa lascivia da brass-band sudista. Sempre gli ottoni caratterizzano l’intensa e cupa “Bio” ma con tutt’altro intento, tracciando il florilegio mariachi tanto caro all’etichetta bolognese e che, veicolato dalle ritmiche patchanka delle percussioni, contrasta sapientemente con il tema del suicidio. La trovata della patchanka invece funziona molto meno, anzi confligge, nella seconda parte della bellissima e amara “Casa Vuota”, dove fa da tappeto ritmico ad un poco riuscito assolo di sax baritono.

Brace è forse l’unico cantautore italiano che, pur facendo una musica decisamente orientata a modelli alternative-country statunitensi, sceglie di scrivere in italiano. E l’effetto è piuttosto curioso, originale, giocato su un’insolita metrica del testo e valorizzato da una notevole estensione vocale, capace di approssimare al limite del demenziale i brani più faceti dell’album, come “Biglia” e “Piedini”, puro brano gospel firmato da Veronica Bassini e accompagnato dal simpatico teaser all’insegna del feticismo dei piedi.
La scrittura dei testi è mantenuta su un registro naif che restituisce alle canzoni maggiore intellegibilità emotiva: “non posso che amarti la faccia / perché forse non saremo mai più felici come adesso / con la stessa angolazione di raggi e riflessi / su quei denti dentro a quella tua bocca / tengo gli occhi chiusi in questa camera / ma nelle palpebre si è impressa un’immagine di te” (Buongiorno).
Altro elemento ricorrente nel disco è la presenza del mare, di quel mare Adriatico che Brace, riccionese trasferitosi a Bologna per insegnare matematica, porta sempre dentro di se e nel quale sembra voler liberare i suoi moti d’animo più scalcianti, i suoi puledri nello stomaco, consapevole che solo in quella finta calma piatta troveranno l’attrito di una forza maggiore capace di placarli.

È quanto meno curioso, se non emblematico, il fatto che nelle tag della sua pagina Rockit, egli abbia messo “cantautore” e “grunge”, e brani come “Pigiamarmatura” e “Domani” confermano pienamente questa combo tanto inusuale nel panorama musicale italiano.
Alla veste sonora dell’album hanno contribuito, oltre al produttore e polistrumentista Matteo Romagnoli, Francesco Brini, Marco “Carta” Cattaneo dei Chewingum, Enrico Roberto e Francesco Draicchio de Lo Stato Sociale, Elia Dalla Casa, Enrico Farnedi e Nicola Lombardi, lo storico e geniale chitarrista dei Mr Brace.
L’artwork di “Puledri nello stomaco” è affidata all’illustratore bolognese Francesco Cattani, autore del romanzo a fumetti “Barcazza” (Canicola 2013), particolarmente abile nel rievocare il placido malessere che permea l’intero album.

Più di una volta mi è capitato di dividere il palco con Brace e di sentirlo in assetto chitarra e voce, chitarra classica per la precisione, suonata col plettro duro oppure arpeggiata con le dita e il plettro magicamente incollato al centro della fronte sudata senza mai cadere, con conseguente effetto Arekrishna. Senza mai cadere, come la tensione delle acrobazie vocali che Brace ha via via modellato sull’ascolto di gruppi statunitensi come Palace Brothers e Neutral Milk Hotel e riadattato alla tradizione melodica nostrana, collocando il suo ruspante timbro vocale in un punto ideale tra la retorica canora di Natalino Otto e l’immediatezza pop di Luca Carboni.
Ma è con la band che Brace rivela tutto il suo background musicale e tutta la sua grinta, dimostrando chiaramente come si possa essere “cantautore” e “grunge” a distanza di vent’anni dall’apice di quella civiltà musicale e a migliaia di chilometri dalla terra in cui se ne svolse la vicenda.

Per ascoltare il disco: