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Crisi, America e Walker Evans: piccola riflessione sull’utilità della fotografia

Una piccola riflessione innescata da un articolo di Michele Smargiassi sul blog di Repubblica. Qual’è l’utilità della fotografia nel nostro mondo? Passatempo più o meno divertente, modo per affermare un personale bisogno di espressione, strumento di studio e conoscenza? Tutte queste cose insieme, probabilmente. Dalle nostre parti l’argomento non deve essere preso molto sul serio: eppure nella “sostanza” della fotografia deve esserci qualcosa di molto interessante se all’estero succedono cose come questa: nel 2012 viene “pubblicato” un bellissimo libro fotografico, American Photographs di Walker Evans, editore il Museum of Modern Art di New York. Per chi bazzica la storia della fotografia non è una news: si tratta semplicemente della riproposizione del volume originale edito nel ’38. Stesso formato, stesso contenuto pregiato, stesso editore. Walker Evans ha influenzato generazioni di colleghi e il suo libro è un tuffo nell’era della grande depressione americana del ’29, tema molto attuale.

Come mai questo lavoro è così importante?

Verso la metà degli anni ’30 Roy Striker, un sociologo e non un fotografo, è il direttore della Farm Security Administration, agenzia pubblica voluta da Roosvelt in persona. Lo scopo della FSA è quello di documentare lo stato del paese nelle zone più colpite dalla crisi; assolda una squadra di grandissimi autori e produce una enorme mole di lavoro contirbuendo a creare l’immagine mitica del sud così come la ricordiamo in “Furore” di John Ford (tra la vicenda del romanzo di Steinbeck, da cui è tratto il film, e il lavoro di Walker Evans, ci sono molti punti in comune).
I fotografi hanno l’ordine di documentare seguendo alcune indicazioni generali con soggetti e tempi concordati. Evans è ribelle a questo modo di lavorare, scatta sempre con il grande formato e si prende i suoi tempi.Privilegia aspetti minimi della vita quotidiana oltre ad architetture e ritratti. Dal ‘35 al ‘37 produrrà une dei reportage più famosi della storia, poi esce dall’agenzia e si dedica a lavori personali.

Walker Evans, e il suo governo del tempo, ha fiducia nella forza delle immagini e sa che non esiste mezzo migliore per raccontare il dolore concreto. E’ fondamentale l’uso del grande formato e la ricerca di estrema nitidezza: obbliga lo sguardo sui particolari minimi della scena e ci mette in diretta comunicazione con la realtà di fronte all’obiettivo…almeno “quella realtà” che vede l’autore. E Walker Evans la vede molto dura, non ci risparmia nulla della sofferenza che gli scorre davanti senza però andare alla ricerca di forzati sentimentalismi. Nessuna “artisticità” ma la scelta di inquadrature immediate, ottiche leggermente lunghe per non dare “impressioni prospettiche” alla composizione.
Non cerca immagini eclatanti ma lavora sulla serie, nutre con rigore compositivo il suo occhio che in una famosa intervista definirà “affamato”.

In Alabama fotografa ripetutamente varie famiglie: in una famosissima immagine c’è un uomo seduto sulla soglia di casa, scalzo, non si sa cosa faccia, né si capisce perché “non faccia qualcosa”, è il simbolo di tutti i disoccupati con famiglia sulle spalle. Ma nello stesso tempo è un essere umano unico, con la sua storia, ha un nome preciso, Floyd Burroughs, e nel 1929 è senza lavoro: è ancora lì davanti a noi, giovane, bello, forte e senza nulla da fare.
Da questo lavoro, di Evans e degli altri, il governo rimase scioccato e agì. Le fotografie contribuirono a far emanare provvedimenti concreti.
Sono ancora adesso un monumento a chi dice “ tanto non c’è nulla da fare”.

Oggi forse ci troviamo più o meno nella stessa situazione: vi immaginate il nostro Presidente del Consiglio che chiama Francesco Cito, Gianni Berengo Gardin, Pietro Masturzo e Paolo Pellegrin, poi Maioli e Zizola e altri venti per un’indagine sulla situazione italiana? E poi invece di farne una bella mostra o una strenna natalizia prende il lavoro, lo diffonde tra i membri del governo e, visto quello che c’è da vedere, fa leggi in favore del popolo fotografato?

Per non addossare ad altri la doverosa parte di responsabilità individuale, vien da dire che forse i fotografi hanno abdicato, alla funzione del proprio lavoro ( almeno ad alcune funzioni? almeno in parte?) chiudendosi in una estetizzante ricerca della bella immagine. Nessun respiro verso grandi ideali. Manca il coraggio ed è ormai consueto sorridere al pensiero dei nostri padri che “volevano cambiare il mondo”.

Con la fotografia non si cambia il mondo, forse, ma a forza di dirlo, in ogni settore, viviamo da rassegnati in un posto che non ci piace.La fotografia ci fa “vedere” quello che non va; e vederlo così bene da non poter fare altro che aver la voglia di cambiarlo. La fotografia documentaria “è una affermazione e non una negazione”come disse Roy Stricker.

P.s.: Walker Evans era il fotografo preferito di Luigi Ghirri, riparleremo della vicinanza dei del lavoro dei due grandi fotografi.