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Gente della Spezia

La strage di Bologna, trent’anni dopo manca ancora tutta la verità

"La strage di Bologna" dell'artista Carosso

Era un sabato umido e afoso, quel maledettissimo giorno di trent’anni fa. Un caldo che si trasformò in gelo fisico, di quello che entra nelle ossa. Per i giovanissimi probabilmente la data del 2 agosto 1980 non dice niente, ma per chi quel giorno lo ha vissuto, adulto o bambino non importa, rimane una cicatrice indelebile nel vissuto collettivo di un’Italia che pure ne ha viste di schifezze. Ognuno di noi che c’era può dire esattamente dov’era e cosa faceva quel giorno.
La mente a volte fa associazioni assurde e allora mi trovo a collegare sempre la strage di Bologna al pugile Patrizio Oliva. Il motivo è semplice: c’erano le Olimpiadi di Mosca, che sarebbero terminate il giorno dopo. Già erano state una manifestazione grigia, per il contesto cupo e liberticida in cui si svolgevano e per il boicottaggio dei principali paesi occidentali che le resero anche dal punto di vista sportivo un evento in tono minore. Quella mattina mi svegliai con un solo pensiero nel cuore: era il giorno della finale di Oliva, che combatteva contro un fortissimo e strafavorito russo per il titolo olimpico di pugilato, categoria superleggeri. Ma quel match nel pomeriggio lo vidi in televisione senza alcun trasporto e la vittoria di Oliva passò quasi del tutto inosservata e ovviamente senza gioia.
Perchè alle 10.25 a Bologna era scoppiato l’inferno. Una bomba piazzata nella sala d’attesa della seconda classe, 85 morti e 200 feriti, una distruzione enorme, la sensazione fortissima del baratro, di un bambino che vede tutti gli adulti attorno a se letteralmente terrorizzati, molti che piangevano disperati.
Ricordo nitidamente le prime immagini dei telegiornali, le minimizzazioni delle prime ore, la balla colossale della caldaia scoppiata fatta circolare per diverse ore dalle autorità per timore che in Italia scoppiasse la guerra civile o peggio ancora nel tentativo di confondere le acque: ma questo lo avremmo saputo dopo, perchè gli elenchi della Loggia P2 furono scoperti soltanto l’estate successiva.
Certo che ci voleva una bella fantasia a parlare di caldaia quando le immagini facevano immaginare un bombardamento aereo, di quelli che i miei nonni e anche mio padre bambino ricordavano fin troppo bene. E infatti fu un esplosivo potentissimo a sbriciolare la stazione. Una miscela di tipo militare, a far capire sùbito che il gioco era davvero sporco e pesantissimo.
Il Presidente Pertini non era uno a cui si potevano raccontare delle favole, si precipitò a Bologna, pianse schiettamente davanti alle telecamere per aver visto dei bambini agonizzanti in rianimazione ed altri dilaniati all’obitorio, ma questo non gli fece perdere la lucidità di individuare sin da subito l’emergenza democratica che stava vivendo il paese. Non è esagerato pensare che se in quegli anni i mandanti delle bombe di Bologna non riuscirono nel loro intento golpista una parte di merito la ebbe anche il nostro Presidente. Al contrario dei tristi tempi odierni, dove si aspetta sempre settembre per far qualcosa, il popolo si mobilitò spontaneamente e nel giro di poche ore organizzò manifestazioni imponenti rientrando dalle ferie in tutta fretta. La coscienza civile allora era un patrimonio largamente diffuso e la difesa della democrazia un ideale davvero sentito.
Trent’anni dopo il ricordo è sempre più sbiadito, specialmente nelle giovani generazioni rimbecillite da una scuola che in confronto il paese dei balocchi del Collodi era un’accademia prussiana e da una rassegnazione senza speranza.
Eppure il dovere di ricordare quelle 85 persone che ebbero il solo torto di essere in stazione una mattina di agosto deve rimanere in tutti noi, anche perchè c’è un’esigenza di verità e giustizia che è stata solo in minima parte soddisfatta.
Di questa strage, a differenza di altre su cui si brancola nel buio da decenni, qualche verità processuale sappiamo: conosciamo gli esecutori materiali, o almeno alcuni di essi, condannati con sentenza definitiva anche se continuano a professarsi innocenti e scandalosamente già liberi, conosciamo i depistatori, alti ufficiali dei servizi segreti militari anch’essi condannati con sentenza definitiva. E’ qualcosa, certo. Ma un paese civile non può pensare di vivere tranquillo senza sapere la verità sui mandanti di quell’orribile carneficina. Strage di verità e di legalità prima o poi si trasforma in strage di vite umane. E’ successo e può succedere un’altra volta. Non stanchiamoci di chiedere la verità, in primis ad uno Stato italiano che si ostina a tenere ben sigillate sotto la coltre del segreto tante scottanti verità, su Bologna e non solo (Ustica in primis).
E per finire con una storia minima in tanta immane tragedia, al povero Patrizio Oliva fu rubato il giorno più bello della sua vita. Appena la giuria diede il verdetto ai punti lui esultò, com’era logico, ma l’angolo lo avvisò immediatamente di quel che era successo, di cui era stato tenuto fin lì all’oscuro per lasciarlo tranquillo prima dell’incontro. Andò sul podio della premiazione da vittorioso con la faccia di uno che aveva preso un terribile ko. Ma l’Italia, sia pure a fatica, seppe rialzarsi in qualche modo.