LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto

Verba Manent

La recensione: "La scimmia sulla schiena" di William Burroughs

La scimmia sulla schiena

William Burroughs, padre della “beat generation”, amico ed ispiratore di alcuni tra i più importanti ed influenti scrittori degli anni ’50 e ’60 americani come Jack Kerouac, Henry Miller e Allen Ginsberg solo per citarne alcuni, si racconta attraverso questo libro.
Uno sguardo lucido, estremamente scientifico e crudelmente personale sulla tossicodipendenza, la sua “scimmia”, come definisce il bisogno di droga nel momento dell’astinenza. Burroughs è un tossicodipendente, fa uso di eroina, codeina, morfina ed altre droghe ma non lo fa per il classico bisogno di fuga, non cerca nelle sostanze uno scampo od un rifugio: la sua è una visione puntuale e precisa, una descrizione dettagliata, dannatamente scientifica, una lucida esperienza della “geografia del dolore”.
Un antropologo dell’eroina, il suo è un resoconto preciso attraverso uno stile pulito, senza fronzoli, diretto e pericoloso, una visione nello stesso momento “ad personam” e sociologicamente di massa, uno sguardo crudele sull’America che stava iniziando a conoscere i movimenti artistici giovanili; un precursore, non uno sciamano della droga ma bensì uno scienziato di quest’ultima, uno sperimentatore, in un’epoca in cui l’eroina non era ancora una droga di e per la massa, ma bensì una dipendenza che interessava per lo più gli emarginati di una società che stava iniziando ad uscire dal guscio della guerra e del proibizionismo.

Di origine ed educazione altoborghese, nevrotico, tossicomane e tossicologo, accusato di uxoricidio, di uso e spaccio di droghe, William Burroughs, capostipite della beat generation, si differenzia dagli altri scrittori dediti agli stupefacenti per la fredda, impassibile obiettività scientifica con cui descrive e sperimenta su se stesso gli effetti delle varie droghe, dalla morfina allo yagè, che favorisce i fenomeni telepatici. La scimmia sulla schiena riflette queste esperienze con un linguaggio di crudele precisione e colloca il suo autore, anarchico e immoralità, nel grande filone di denuncia e protesta.

“Junkie”, questo il titolo originale dell’opera, è stato scritto da Burroughs in Messico, quando aveva appena perso o forse ucciso, il 7 settembre 1951, la moglie mentre si esercitava al tiro al bersaglio, suo gioco preferito, durante un estenuante quanto terribile stillicidio processuale attraverso il quale l’autore cercava di farsi condannare per la morte della moglie, a dispetto della diagnosi di epilessia riportata sul suo fascicolo militare che ne sanciva l’incapacità di intendere e di volere, processo che però portò l’allontanamento dei suoi figli.
Burroughs, che dichiara di non aver scritto tale romanzo per un mero desiderio artistico ma solo per, come egli stesso disse, -“trovarsi qualcosa da fare ogni giorno, in un momento in cui non avevo neanche i mezzi stilistici e letterari per scrivere quel romanzo”, in “Junkie” prende questo enorme incrocio tra dio e diavolo che secondo la morale comune è l’eroina e, declamandone gli aspetti dolorifici molto più che quelli esaltanti, scrive la sua discesa negli inferi della tossicodipendenza fino all’insperata rinascita.

William Burroughs scrive, come detto in precedenza, in uno stile semplice, piano, privo delle tipiche e peculiari elaborazioni espressioniste e surrealiste di quello che, per esempio, è definito il suo capolavoro assoluto (The Naked Lunch, 1959), Il Pasto Nudo, testo in cui riversa tutta la sua protesta nei confronti della società e dello stato che può controllare le menti degli individui, il cui unico spiraglio di libertà e comunicazione è la telepatia. William Burroughs nella “Scimmia sulla schiena” scrive un libro che è insieme confidenziale e documentaristico, intimo e spietato, terribilmente cinico. Un libro che è uno sguardo vero, vivo, non solo della storia della letteratura, ma della storia dell’uomo e del suo mondo, un antropologia cruda e spiccia che mai è stata così reale:

“La droga è un’equazione cellulare che insegna al tossicomane verità di validità generale. Io ho imparato molto ricorrendo alla droga: ho veduto la vita misurata in pompette contagocce di morfina in soluzione. Ho provato quella straziante privazione che è il desiderio della droga e la gioia del sollievo quando le cellule assettate di droga la bevono dall’ago. Forse ogni piacere è sollievo. Ho appreso lo stoicismo cellulare che la droga insegna al tossicomane. Ho veduto una cella di prigione piena di tossicomani in preda alle sofferenze per la privazione della droga, silenziosi e immobili ciascuno nella sua individuale infelicità. Sapevano quanto fosse inutile lamentarsi o agitarsi. Sapevano che, fondamentalmente, nessuno è in grado di aiutare il prossimo suo. Non esiste chiave, non esiste segreto in possesso di qualcuno e che possano essere ceduti. Ho imparato l’equazione della droga. La droga non è, come l’alcool o come la marijuana, un mezzo per intensificare il godimento della vita. la droga non è euforia. È un modo di vivere.” (William Burroughs, La scimmia sulla schiena)

L’AUTORE

Padre e fondatore della beat generation, William Seward Burroughs, è nato a St. Louis il 5 Febbraio 1917 ed è morto a Lawrence il 2 Agosto del 1997.
“Pecora nera” di una ricca famiglia, molto nota nel mondo per la produzione di calcolatrici meccaniche, si laureò all’Università di Harvard. Dopo la laurea, i suoi genitori decisero di sostenerlo economicamente, nella speranza che prima o poi trasformasse quell’imponente carriera scolastica in un impegno professionale di prestigio, e anche perché la lontananza di quel figlio omosessuale evitava molti possibili imbarazzi per il nome dei Burroughs. Burroughs, liberatosi da regole e imposizioni, dedicò tutto il resto della sua esistenza alle più svariate sperimentazioni; tuttavia in rare righe sparse per tutta la sua opera, trapela il dolore per l’affetto mancato di una famiglia che per prima lo riteneva scomodo.
Nel 1944-45 fece la sua prima sperimentazione con delle fialette di morfina dopo qualche mese divenne tossicodipendente e cominciò a comprare morfina ed eroina con ricette mediche (all’epoca queste droghe erano vendute legalmente in farmacia), o al mercato nero. A volte per mantenersi con la droga fece lo spacciatore.
Perso il sostegno familiare, William Burroughs lavorò prima come barista, poi come operaio, finché giunse a New York dove si improvvisò reporter e giornalista e finì con lo stringere rapporti con la criminalità. Nel 1943 conobbe Allen Ginsberg, noto poeta della beat generation, con il quale ebbe anche una lunga relazione, Neal Cassidy e Jack Kerouac, i quali ammirandone la genialità, lo elessero quale padre spirituale.
Nonostante la sua omosessualità, si sposò due volte, la prima in Croazia con Ilse Kappler, una ragazza ebrea, al solo fine di farle ottenere il visto per gli Stati Uniti, la seconda volta con un’amica, Joan Vollmer, con la quale condivideva la passione per le droghe.
Ha scritto, oltre a “La scimmia sulla schiena”, nel 1953 : “Checca” scritto nel 1951 ma pubblicato nel 1985; “Pasto nudo”, 1959; “Sterminatore”, 1960; “La macchina morbida”, 1961; “Il biglietto che esplose”, 1962; “Lettere dello yagè”, 1963; “Nova Express”, 1964; “Le ultime parole di Dutch Schultz”, 1969; “Ragazzi selvaggi”, 1971; “Porto dei santi”, 1973; “E’ arrivato Ah Pook”, 1979; “La città della notte rossa”, 1981; “Strade morte”, 1983; “Il gatto in noi”, 1986; “Terre occidentali”, 1987.

TITOLO: “LA SCIMMIA SULLA SCHIENA”
TITOLO ORIGINALE: “JUNKY”
AUTORE: WILLIAM S. BURROUGHS
EDITORE: BUR
PREZZO: 8,20 €