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Il Cielo sopra La Spezia

Il Cielo sopra La Spezia. Il diritto alla speranza

monumento alle vittime della Shoah, Monaco

Negli anni 1946-1948 gli spezzini prestarono aiuto ai profughi dei lager nazisti. La Spezia si trasformò nella “Porta di Sion”: dalla nostra costa partirono navi come la “Fede” e il “Fenice”, considerate uno degli inizi della fondazione dello stato d’Israele, e la nave “Exodus”, simbolo di ogni immigrazione.
Furono atti di incredibile solidarietà da parte di una città piegata dalle devastazioni dei bombardamenti, violentissimi, dalla fame e dalla miseria. Una città che pagò la ferocia del nazifascismo anche con i suoi martiri, i 600 deportati del Ventunesimo, ricordati dalla lapide al 2 Giugno.
Il Premio Exodus, oltre che essere conferito a personalità internazionali che hanno contribuito alla costruzione della pace e della solidarietà nel mondo, serve quindi a ricordarci come eravamo, di cosa è stata capace la nostra comunità. Di quale livello di amore, rispetto e comprensione della tragedia altrui possono essere capaci gli esseri umani in particolari periodi della storia, quando ogni soffio di speranza sembra svanire come polvere nell’aria.

Per ogni abbraccio, carezza, sorriso e stretta di mano. Per ogni coperta, piatto di mesciua, sorso d’acqua, pezzo di sapone, vestito usato e riparo di tetto momentaneo offerto dagli spezzini di allora agli scampati dei lager nazisti, noi spezzini di oggi possiamo essere fieri e riconoscenti. Gli spezzini di allora, molto probabilmente, non avevano una percezione ed una conoscenza precise di quello che era accaduto nei campi di sterminio. Forse qualche racconto sconnesso, e molto silenzio: era tutto ciò che si riusciva a carpire a quelle donne, uomini, bambini più simili ad ombre che ad essere umani. E’ difficile raccontare l’orrore a cui sei sopravvissuto, pochi ci riescono. Ma i nostri concittadini non ebbero bisogno di grandi spiegazioni. Bastò loro avere di fronte persone bisognose di tutto, e seppero leggere la richiesta di dignità e di rispetto nei loro occhi. Tutto quello che gli era stato negato nei lager, l’invenzione più orribile dell’umanità, l’abominio di tutti gli abomini. Gli spezzini di allora capirono ogni cosa, e si diedero da fare per alleviare le sofferenze agli scampati. Fecero del loro meglio, ciò che la loro condizione, comunque misera e difficile, consentiva, per restituire l’umanità a chi ne era stato privato.

Le navi che partirono dal Molo Pagliari con migliaia di profughi diretti verso Israele furono il seme di un sogno, del diritto di un popolo, da sempre perseguitato, ad avere la propria terra, la propria casa. Su ciò che è successo dopo, sul giudizio sulla storia dello Stato di Israele sino ad i giorni nostri, si può sicuramente discutere, anzi è doveroso farlo. Quello che interessa adesso, in questi giorni del ricordo del viaggio di Exodus, è sottolineare il diritto alla speranza, ad intraprendere un viaggio in mare per aspirare ad una vita e ad un futuro migliori.

Qualche settimana fa, c’è stata una sentenza molto importante nel nostro Paese, passata piuttosto in sordina sui media, troppo impegnati a raccontare le gesta dei potenti. Sono stati tutti assolti i tre imputati per la vicenda della Cap Anamur, la nave dell’omonima associazione umanitaria tedesca che nell’estate del 2004 salvò 37 immigrati nel Canale di Sicilia. Il presidente dell’associazione Elias Bierdel, il comandante della nave Stefan Schimdt e il primo ufficiale Vladimir Dachkevitce erano accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Dopo che la nave prese a bordo i 37 immigrati gli fu negato l’attracco sulle coste italiane, perché il governo contestava alla Cap Anamur di avere effettuato il salvataggio in acque maltesi e voleva che gli immigrati fossero consegnati al governo di Malta. Dopo estenuanti trattative, la nave dichiarò lo stato di emergenza sanitaria, ed attaccò a Porto Empedocle. Appena sbarcati, il comandante, il primo ufficiale e il presidente dell’associazione furono arrestati con l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e rilasciati pochi giorni dopo.

Quella sentenza d’assoluzione è un fatto importante, perché torna a sancire nel nostro Paese, almeno formalmente, un principio d’accoglienza umanitaria. Ed, anche in questo caso, il diritto alla speranza, ad intraprendere un viaggio in mare per aspirare ad una vita e ad un futuro migliori. I profughi provenienti dall’Africa o da altre parti del Mondo arrivano da realtà di morte, dolore e miseria anch’esse molto difficili da raccontare per chi le ha vissute. Sono persone che vanno rispettate, difese ed accolte. Come i nostri fratelli ebrei tanti anni fa a Spezia.

Scrive Primo Levi: “S’immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità.”