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Una storia spezzina

Vivera e Piandarana, retaggio di una occupazione germanica

di Alberto Scaramuccia

Longobardi

I nomi delle strade rivelano i segni di un passato che sbaglieremmo a credere irrimediabilmente scomparso. Non è vero, s’è solo nascosto, al massimo smarrito fra le pieghe di una cultura che non coltiva come dovrebbe la conoscenza del trascorso del territorio. Sarebbe forse meglio dirla incultura, ma per debellarla basta un poco di attenzione, un minimo di interesse per recuperare ciò che sembra perduto per sempre. Dalla riscoperta torna il senso dell’appartenenza: ci riappropriamo del significato della nostra presenza nel luogo che abitiamo e cominciamo a viverlo essendo consapevoli di dove andiamo perché sappiamo da dove veniamo: questo il bell’effetto della nostra personale recherche per la cui riuscita serve solo averne voglia.
Così, corre davanti alla piscina del 2 Giugno una viuzza che non le daresti quattro palanche con un nome che, fosse pincopallino, farebbe più effetto. Vivera, novella Carneade: chi era costei, ci si chiede ché non ne resta più neanche la targa.
Bene, Vivera era una comunità longobarda, retaggio di un’antica guerra al cui termine quella gente si stabilì da quelle parti fortificandosi su una collinetta cui diedero il nome di Gaggiola, nella loro lingua bosco sacro recintato.
Oggi in tedesco si dice wald ed è fenomeno fonetico normale che il germanico w- nelle lingue neolatine diventi gu-. Secoli fa werra si fece guerra; in tempi più recenti il guappo emigrato in America divenne wap. In Umbria c’è Gualdo Tadino, nel XXII dell’Inferno Dante parla di gualdane (bande che fanno imboscate), alle Gualdane è ambientato “Enigma in luogo di mare” di Fruttero & Lucentini, tutto da leggere.
Non è digressione, anche nelle parole sta la nostra storia.
A Gaggiola c’erano i Longobardi che lì s’insediarono invitati a stanziarsi anche dall’abbondanza di acque. Non a caso, quella fu zona di mulini di cui uno grosso era circa dove oggi sta il centro commerciale Il Faro, e lì presso si fece all’anno Mille uno spitale benedettino e due chiesette condannate a morte dall’Arsenale.
Quei Longobardi confinavano con un’altra etnia germanica che risiedeva nell’area dove oggi è Piazza Brin. Fino a pochi decenni fa la zona era chiamata Piana degli Ariani o, per far prima, Piandarana. Era un posto così acquitrinoso che s’impiegò non poca risulta dell’Arsenale per prosciugarla. Certo i batraci abbondavano, ma il nome voleva solo dire che era terra degli Arii, gli uomini liberi germanici.
Via Piandarana oggi è una viuzza che, a sinistra della chiesa de-a ciassa Brin, collega lo slargo a Via Napoli. Chi lo direbbe che una volta c’erano, lì e lì vicino, i Tedeschi?