Anche se di ‘sti giorni siamo tutti più impegnati con ravioli e tortellini che con la lettura, l’occasione è in ogni caso buona per augurare ad ognuno di noi di passare dei giorni sereni profittando di queste festività.
Comunque, la rubrica che parla della storia spezzina non può che rammentare quello che successe in questo stesso periodo cento anni fa.
Con la guerra che infuriava, va da sé che quelli non erano certi giorni felici. Si rimpiange tanto il Natale precedente. Anche allora il Paese era in guerra, ma si nutriva ancora la speranza che tutto quel po’ po’ di ambaradan si concludesse presto in una pace: speranza ingenua, dettata dalla necessità di trovare qualche conforto, anche nell’illusione. Ma i fatti presto la dissolsero.
Per questo il Natale successivo, quello del 1916, ha toni proprio del tutto diversi. In ognuno c’è la consapevolezza che quello che si vive è un duro Natale di guerra che impone, oltre alla trincea al fronte con tutto quel che ne segue, privazioni e sacrifici anche a chi sta in casa. L’unico auspicio che si sente è che sia prossimo il giorno della vittoria e queste due parole (pace e vittoria) fanno comprendere quanto si sia modificata l’opinione pubblica, tanto incline ad un accordo prima, quanto adesso risoluta nel chiedere l’annientamento del nemico.
Fu, dunque, quello, un Natale triste, in cui anche la speranza dolce era perita. Dei tanti sentimenti positivi di prima, si mantiene solo la solidarietà verso chi sta peggio. La Pubblica Assistenza imbandisce nei suoi locali “il consueto pranzo di Natale per i poverelli della città”. Si offre loro “un abbondante piatto di pasta asciutta, saporosa e profumata, un bel pezzo di carne, una pagnotta, un bicchiere di vin buono e degli squisiti aranci, delicato dono del Municipio”.
La cosa che maggiormente colpisce nella cronaca giornalistica dell’avvenimento è quando riferisce che “i commendali furono moltissimi, per il numero il refettorio era incapace di accoglierli per cui dovettero rinnovarsi”, entrare un po’ per volta. Chissà, nella calca qualcuno avrà anche approfittato per intrufolarsi di nuovo e concedersi un bis, ma la fotografia che viene disegnata è quella di una situazione drammatica.
Oggi, però, non immalinconiamoci con le tristi vicende di cento anni fa. Almeno per un giorno facciamo finta che stiamo tutti bene, che non c’è dolore, che non c’è fame, che non c’è guerra. Adesso è l’ora di stappare la bottiglia dello spumante e di annaffiarlo con una bella fetta di panettone. Cin cin! Al resto ci penseremo domani. Auguri e buona giornata!
Già, ma chi ha fame oggi?
Una storia spezzina
Un secolo fa, Natale di guerra e speranza
di Alberto Scaramuccia