Il San Silvestro di cento anni fa fu un ultimo dell’anno molto dimesso e grigio, ed è cosa ben comprensibile. La guerra impazzava, c’era fame ed erano davvero poche le famiglie che non avessero un loro caro sotto le armi.
Per questo, la festa ed il divertimento che è il marchio di fabbrica della notte del 31 dicembre, conobbe toni molto smorzati rispetto agli anni “normali”. Questo è quanto si ricava dalle cronache di quella serata; di balli e cotillon, almeno stando ai resoconti ufficiali, non si trova alcuna notizia. Poi, forse, magari, chi lo sa, di soppiatto, qualche veglione si riuscì a fare, ma, se ci fu, fu in una forma così anonima e senza pretese, che la stampa cittadina non la registra, a differenza di quanto succedeva prima della guerra quando la più modesta festicciola era onorata sulle colonne dei giornali locali.
Eppure. A dispetto di tutto, il desiderio di fare un po’ di baldoria c’era. Anche se avevano uno di casa in trincea, si manifestava ugualmente la voglia del divertimento: forse per esorcizzare la paura del peggio, oppure, più banalmente, perché, come diceva quel tale, l’uomo è ludens, di natura voglioso del gioco.
Che ce ne sia la smania, certo repressa ma poi non così tanto che poi alla fine non spruzzi fuori, lo mostra il fatto che basta un pretesto da nulla per fare sfrenarsi.
L’appiglio lo offre il genetliaco della Regina Elena che cade lunedì 8. Per questa festività che onora la dinastia, ci si può scatenare tanto quanto la settimana precedente si era rimasti morigerati. E allora tutti a sfrenare in piazza Brin dove staziona un circo equestre e dove ci sono anche diverse giostre. Per chi fosse interessato a sapere dove mettevano tutta quella roba, ricordo che a quell’epoca non c’erano ancora le aiuole, ma solo una diecina di alberelli sparuti sparpagliati sul lato di corso Cavour.
Insomma, ci si diverte con poco, ma evidentemente è quanto basta a dimenticare la realtà.
Ma è solo roba di attimi perché poi si rimettono subito i piedi per terra per pensare a chi ne ha meno di noi.
Anche i poveri hanno diritto al Natale e la Pubblica Assistenza distribuisce generi alimentari: pane, pasta, carne e 23 fiaschi di vino. Tutta roba acquistata con 523,70 lire, frutto di tante offerte, proprio tante.
Sul giornale che dà la notizia mi sono divertito a contarle. Uno offre 30 lire; undici danno 1 lira. In 92 tirano fuori il borsellino per regalare gli spiccioli dentro: da 20 citi a 50, uno ne offre addirittura 70.
Non è gente ricca, ma non si tira indietro per aiutare chi sta peggio.
Un bel messaggio, quasi un canto di natale una settimana dopo.
Una storia spezzina
San Silvestro di un secolo fa: un po’ di baldoria, nonostante la guerra
di Alberto Scaramuccia