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Una storia spezzina

Quando si avevano idee chiare sull’ospedale

di Alberto Scaramuccia

Ospedale Sant'Andrea della Spezia

Oggi che tanto si parla di ospedale, un aficionado mi chiede notizie sulle strutture sanitarie della Spezia d’antan.
Il primo ospedale si fece quando la città era ancora stretta fra quattro mura. Ricordato nella presenza dalla targa che sta sul muro di Bankitalia, stava in un oratorio dedicato a Sant’Andrea dove oggi c’è il civico 23 in via Biassa. L’aveva fatto nel 1480 la confraternita detta della Madonna ché stava nell’oratorio di Santa Maria. Ma per la collocazione il nome del Santo prevalse e da allora l’ospedale alla Spezia è Sant’Andrea. Dunque, l’origine del primo ospedale è religiosa ma si avverte anche la bella virtù civile di aiutare chi aveva difficoltà nel curarsi.
Non saprei dire quando la sanità divenne problema dell’istituzione comunale, ma io penso che l’autorità cittadina ci mise del suo quando nel 1673 il locale fu ingrandito “per ricovero degli ammalati”.
Sicuramente il Sant’Andrea passò all’amministrazione quando lo Stato diede al Municipio l’antico convento dei Paolotti (l’odierno Lia) per farvi un nuovo ospedale che aveva sette stanze, tredici camerette, refettorio, vestibolo e due piccoli vani. Per l’aumento demografico determinato dall’Arsenale la struttura divenne presto insufficiente e si dovette fare un nosocomio nuovo.
Sull’area dove costruirlo c’erano tante ipotesi: Birano, Gaggiola, il Castello, l’area dietro al Lia, ma alla fine prevalse San Cipriano che a fine Ottocento era proprio fuori città, separata dal centro urbano dalla collina di Cristo Re che allora scendeva fino al mare. Poteva sembrare una stranezza, ma rivela la presenza di una strategia ben precisa: inserire il progetto sanitario nel piano di incremento della città che allora si voleva estendere fino a Migliarina, area per la cui parte a mare (Canaletto) si prevedeva un florido avvenire industriale. In altre parole, la salute la si coniuga allo sviluppo della Spezia: il Sant’Andrea non è solo un presidio sanitario, ma un tassello che contribuisce a raggiungere sorti magnifiche e progressive. A me sembra che avessero le idee proprio chiare.
Aggiungo che il Sindaco dell’epoca Giulio Beverini (morirà purtroppo giovane nel 1902) dona alla città la bella sommetta di 100mila lire per l’acquisto del terreno. Fu un atto di generosità che evidentemente si poteva permettere, ma la regalia non la si dovette solo al buon cuore, ma anche alla presenza di una non indifferente sensibilità sociale per cui il miracolo economico che c’era allora nell’area del Golfo doveva dotarsi anche di un sistema di servizi che favorissero tutti i cittadini, meno abbienti compresi.

ALBERTO SCARAMUCCIA