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Una storia spezzina

Piazza Brin come Brescello, scintille tra parroco e partito a causa della fontana

di Alberto Scaramuccia - Storie dell'Umbertino, 3

Falce e martello sulla fontana di Piazza Brin

(…prosegue)
Quella domenica del ’56, dunque, s’inaugurò la fontana di piazza Brin. Fu un anno tragico quello: a breve i parà franco-inglesi sarebbero scesi su Suez nazionalizzata, a ottobre ci sarebbe stata la rivolta d’Ungheria che scosse molte coscienze già messe in crisi dalle rivelazioni del XX Congresso del PCUS dell’inverno precedente. Ma per gli Spezzini, e soprattutto per noi de-a ciassa Brin, il ’56 fu l’anno della fontana, l’obelisco bitorzoluto che tutti in fretta accettarono al di là dell’aspetto inusuale ed elessero a simbolo della propria identità.
Con pari fretta sull’opera di Basaldella influì anche l’inquinamento sì che una spessa patina ricoprì le tante tessere del bel mosaico invetriato, che in origine erano di un bel colore brillante che faceva luccicare gli occhi. Così, del contenuto dei tanti oblò che corredano il monumento si perse la conoscenza e, quasi automaticamente, su che cosa ci fosse dietro a quello strato oscuro che unificava ogni cosa in un grigiastro anonimo ed indistinto, sorsero leggende metropolitane. I beni informati ricordavano a noi (allora) giovani che in una di quelle formelle l’artista aveva messo in un bel colore rosso squillante una falce ed un martello incrociati, l’emblema della tanto aspettata da molti, palingenesi sociale.
Tuttavia, per lo sporco che c’era non si riusciva più a scovare dove fosse quel simbolo la cui conoscenza rimase confinata in quel limbo oscuro e confuso che rende la presunta realtà, autentica invenzione.
Della falce e del martello si continuò per anni a dire senza sapere dov’era e durò fino a quando il Comune con opera meritoria decise di provvedere alla pulizia del monumento per riportarlo finalmente al pristino splendore. Restaurato, la fontana rimessa a nuovo venne inaugurata sabato 6 novembre 2004 alla presenza del Sindaco Pagano e degli ex Primi Cittadini Giacchè ed Antoni che l’aveva inaugurato quarantotto anni prima. Fu proprio Varese a dire che il parroco del tempo aveva messo in giro la voce che l’acqua della fontana era avvelenata. Per smentirla, il Sindaco, riempito un bicchiere di quell’acqua, si trangugiò beato quel goto dimostrando che le parole del don di allora erano invenzione.
Non ci si stupisca: erano i tempi di don Camillo e di Peppone, della tragedia della guerra fredda che si stemperava esorcizzata nella rissa paesana.
Alla fine della festa inaugurale di quel sabato di 10 anni fa, mi girai tutta la fontana, strabuzzando gli occhi. E alfine li vidi, la falce incrociata con il martello in un bel rosso cremisi ancora rutilanti all’ultimo sole di quell’autunno.
Indovinate dove è messo l’antico simbolo che tanti e tanto ha fatto inutilmente sognare: proprio davanti all’ingresso della chiesa a guardare sornione e quasi sogghignante i fedeli che escono dopo essersi segnati al cospetto dell’Altar maggiore.
Fu provocazione, nessun dubbio, istigazione e sfida indotte dai tempi tanto belli a ripensarli.
Nel rimpianto quanta è la nostalgia anziana e quanta la noia dell’epoca nuova?