Cento anni fa la domenica di Pasqua cadde il 12, con qualche giorno d’anticipo rispetto a oggi. Gli Spezzini, fedeli cristiani, andarono ai Sepolcri, ma (commenta sconsolato il Corriere della Spezia, forse il settimanale più autorevole fra i sei che venivano pubblicati in quel torno di tempo) le brave persone che si recarono a vederli nella chiesa di Sant’Antonio, lo facevano per l’ultima volta. L’antica chiesa è destinata per la ristrutturazione urbanistica che è in atto, ad essere abbattuta perché si trova nel bel mezzo del quartiere più degradato e malsano della città, quello dove maggiormente aveva infierito il colera 30 anni prima. Per evitare che il tremendo contagio avesse la possibilità di ripetersi, dopo il primo contagio del 1884 le autorità avevano deciso la risistemazione dell’area. L’opera, tuttavia, non si era ancora compiuta nonostante che si fosse deciso di procedere con la maggiore alacrità possibile.
La storia della vicenda magari aveva insegnato qualche cosa, ma certo non l’aveva imparata l’ignoto redattore che solo si lamenta che un altro pezzo della Spezia antica è destinato ad andarsene, per il resto continuando a confidare che le sorti sarebbero state magnifiche e progressive: un’inguaribile ottimismo a cui peraltro noi guardiamo con invidia da tanto che il presente ci sfiducia.
Nella settimana di Pasqua si assiste anche alla partenza del tedesco Arturo che portava un cognome che tuttora mette a dura prova le corde vocali di chi voglia pronunziarlo: Strohschneider. Per far prima lo chiamano l’uomo sul filo perché collega con un robusto cavo metallico la punta della chiesa di piazza Brin con la sommità della casa dirimpetto. Là, su quel canapo si esibisce con la massima disinvoltura: volteggiando, compiendo piroette, roteando. Così manda in visibilio la folla che assiste allo spettacolo, assiepata nella piazza, divisa fra l’ammirazione per le acrobazie e l’angoscia che alcunché di irreparabile possa accadere: il fascino della paura che sempre seduce perché è piacevole restarvi avvinti per quanto possa essere terrorizzante. Sul filo il nostro Arturo è disinvolto: cammina avanti e indietro, accende e spegne luci e addirittura si porta sul collo un baldo giovine indigeno che ad un certo punto gli scende dalla groppa per fare il funambolo pure lui. Il cronista afferma che di Arturo raccoglierà il testimone e noi non facciamo fatica a riconoscere nell’imberbe atleta Ivo Aprigliano, ottimo acrobata e suscitatore di grosse emozioni pure lui, ma uomo sul filo numero due, cronologicamente parlando s’intende. Prima di partire, Arturo lascia un po’ di soldi in beneficenza prelevandoli dai frutti dei suoi rischi.
Credo che agli Enti beneficiari di quella imprevista donazione, l’uovo di Pasqua che ricevono da Arturo fece molto piacere. Era una bella sorpresa che contribuiva a risolvere i loro problemi.
Anche a chi mi legge auguro di trovare nelle uova pasquali delle soluzioni che aiutino in questi tempi sempre più complicati.
Una storia spezzina
Pasqua 1914, se ne vanno Sant’Antonio e il primo uomo sul filo
di Alberto Scaramuccia