Giobatta Paita rivestì importanti cariche pubbliche a fine Ottocento: occupò per ben tre volte un seggio alla Camera ed altrettante sedette sulla poltrona di Primo Cittadino della Spezia dopo esserlo già stato di Follo, suo borgo natale.
Gli dobbiamo l’invenzione del porto, stimolato dall’apertura di Suez avvenuta nell’anno in cui s’inaugurò l’Arsenale. Lo scalo apre nuove ed importanti prospettive all’economia spezzina in cui allora il ramo legato al militare giocava una parte preponderante mentre l’industria s’affacciava ponendo le premesse per uno sviluppo che poi si sarebbe mostrato incontenibile.
A Paita, dunque, dobbiamo il porto. È una sua idea, un progetto che coltiva pazientemente avendolo nella mente da tempo già compiutamente delineato, curato nei particolari, esaminato al dettaglio. Si rende conto, infatti, che dev’essere opportunamente accessoriato ché non rischi di diventare (uso parole di oggi) una cattedrale nel deserto, una napoletana che ti lasci bruciare in mano. Capisce subito che al porto, perché sia motore di crescita, servono infrastrutture adeguate. Tradotto, significa che occorre una rete ferroviaria che colleghi lo scalo alla Pianura padana né dimentichi di fare l’occhiolino all’Europa.
Ecco perché qua ci si agita per tanti segmenti di strada ferrata che avvicinino la Spezia alla meta ambita: Garfagnana, Lucca, Parma, tutte tappe per agganciare il Nord industriale superando la rivale Livorno.
Cose che si sanno. Meno noto è che nella strategia di Paita compare anche un progetto che non sarebbe andato in porto, ma che è indicativo della compiutezza del disegno che il Nostro stava progettando. Già nel 1885, a Genova, da consigliere provinciale (fu anche quello) si batte per una linea ferroviaria interna che unisca la Lanterna a Parma, ma in cui la stazione spezzina non occupi un posto defilato. La tratta dovrebbe attraversare le valli di Bisagno, Fontanabuona, Graveglia, Vara per arrivare alla Spezia e da lì proseguire. Per un’opera di queste dimensioni e di certo alti costi, si porta anche la giustificazione militare. Le ferrovie al tempo svolgevano un compito assai importante nello spostamento celere delle truppe ed una strada ferrata litoranea, come quella che collega a Genova, era troppo esposta al bombardamento di navi ostili nell’eventualità di un attacco nemico (allora non correva buon sangue fra Roma e Parigi).
La ferrovia poi non si fece, ma è idea che s’affaccia altre volte. L’ultima fu nel 1915 anche se le alleanze contratte con l’entrata in guerra escludono i pericoli paventati in precedenza.
L’idea di Paita, però, ci suggerisce qualche altra considerazione.
Lui fu geniale con il porto, ma a supportare la sua idea dello scalo dovette evidentemente concorrere il consenso dell’opinione pubblica. Un’idea può essere buona, ma non cammina se mancano le gambe dell’appoggio popolare. Questo evidentemente c’era; non si cercano altre soluzioni di sviluppo, a cominciare dal turismo, perché non erano convenienti.
Una storia spezzina
Paita, il porto e l’alternativa alla Pontremolese
di Alberto Scaramuccia