Dalla parola latina cella che nella lingua madre significa cantina, deriva il tedesco keller con identico significato. Siccome in quel locale si custodiva soprattutto la birra, quando in Italia si aprono le birrerie, ogni ragazza che là serva come cameriera, viene chiamata kellerina. Ma anche quella che nei bar porta il caffè ai tavoli, è chiamata con lo stesso nome: chissà perché, forse faceva più chic.
Anche nelle birrerie spezzine lavoravano le kellerine,che i giornali scrivono sempre con la kappa iniziale sebbene l’italiano accetti anche l’iniziale ch-. Le nostre ragazze vantavano una precedente illustre in Annie Vivanti, la poetessa che prima di conoscere Giosuè Carducci con cui sarebbe poi venuta a visitare il Golfo, aveva lavorato in una birreria di Genova, dando anche adito a pettegolezzi per un comportamento non sempre irreprensibile.
Nella storia spezzina si registra anche un altro caso di kellerina, più, diciamo così, nobile.
Succede nel 1884 quando alla Spezia si verifica la prima delle tre tremende epidemie di colera che per tre anni consecutivi si abbattono tragicamente sulla città causando lutti, danni, disperazione senza limiti. Dentro il dramma si sviluppa una quanto mai nobile gara di solidarietà in cui gesti di assistenza reciproca si susseguono senza posa, tanto efficaci quanto anonimi. La stampa ogni tanto ne porta qualcuno a conoscenza dei lettori: per fortificare gli spiriti, per risollevare gli animi tanto abbattuti, perché anche così si può dare una mano per resistere contro il morbo.
Allora, fra le notizie di quel tipo nel contesto così brutto, ecco la bella nuova.
Siamo nel settembre di quell’atroce 1884, quando il male è al culmine della sua feroce virulenza. Ci si deve fare coraggio; “Il Lavoro”, settimanale dell’epoca, elogia il ruolo svolto da sei suore di carità che sono «angeli veramente» perché «assidue cercano di alleviare lo strazio, senza mai posare, senza mai sollevare lamenti». Ed una di queste è «una ex kellerina che ha preferito il silenzio sepolcrale del lazzaretto al clamore avvinazzato del Caffè».
Del tutto diverso è invece la notizia che su quelle ragazze i giornali spezzini riportano trent’anni dopo, nel primo autunno del 1914, 100 anni fa, dunque, mentre infuria la guerra. L’Italia non ne è ancora toccata, ma l’atmosfera non è delle più allegre; ci si comincia a rendere conto che sarà molto difficile, se non impossibile restarne fuori. In questo contesto il cavalier D’Arienzo, che svolge le mansioni da sottoprefetto (la Spezia, non ancora provincia, dipendeva da Genova), emana una disposizione in base alla quale «è eliminata la presenza delle kellerine nelle birrerie della città». L’informazione non ne rende noto il motivo, ma non pochi plaudono al provvedimento che nello “sfratto” vedono «un passo in avanti nella rigenerazione morale» della Spezia. Parimenti, ci si augura che l’ordinanza non venga annullata da successivi interventi normativi perché farebbero compiere un passo indietro ai costumi.
Una storia spezzina
Nascita e crisi delle kellerine da birreria
di Alberto Scaramuccia