LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto

Una storia spezzina

Nascita e abbandono di Castel San Giorgio

di Alberto Scaramuccia

Castello San Giorgio

Tra i monumenti che sono emblema della città, spicca con pieno merito il Castello di San Giorgio che oggi ospita le statue stele che in originali o copia sono qua raccolte.
Ma la fortificazione nacque, come ovvio, per scopi diversi.
Forse all’inizio fu solo una piccola torre di difesa che nella seconda metà del Duecento eresse Niccolò Fieschi, sceso a colonizzare questa terra fino ad allora trascurata. Sognava di farsi qua una signoria, ma Genova non poteva permettersi un nemico alle spalle. La repubblica però capì che l’area fino a quel momento negletta era importante per la new economy del tempo e rafforzò la piana di Spedia nell’apparato difensivo.
Negli anni quella torre si ampliò diventando castello che faceva capo ad una cerchia muraria che s’apriva in cinque porte. All’inizio del Seicento poi s’espanse a sud verso il mare e se ne aprì una sesta. Il castello s’arricchì di un piano superiore, quadrato e bastionato agli angoli: fu un adeguamento imposto dalle nuove artiglierie. Quando però nacquero ancora nuovi metodi della guerra e la Spezia conobbe una diversa collocazione nel contesto nazionale, il castello perse la sua funzione. Cadde in disuso e fu degrado da cui è risorto solo pochi anni fa per la splendida ristrutturazione che l’ha reso agli antichi fasti.
Ma era veramente malmesso, ridotto a latrina e occasionale alcova per amori mercenari.
Del suo disuso che inevitabilmente avrebbe portato ad un indegno degrado, è molto consapevole un articoletto anonimo che nel dicembre del 1880 compare su “Spezia Nuova”, un periodico in cui è molto attivo Ubaldo Mazzini. Secondo me è alla sua penna che si deve il trafiletto in cui viene descritta con toni quasi lirici una felice “ascensione” al castello favorita da un gran bel sole: Dalla rocca si gode un panorama stupendo: “i tetti e fumaioli della vivente città”, il Duilio ancorato nel Golfo calmo come l’olio sotto l’ala protettrice della mancina che pare “mano di gigante”. Intanto, le navi a vapore rompono con la loro ondata la quiete del mare, ferma restando in fondo “la linea scura della diga”.
In questo panorama, al cronista non resta che chiedersi per quale motivo una tale “mirabile posizione” non la si utilizzi: non si indica per quali scopi, ma sono più che intuibili. Inoltre, il redattore si chiede perplesso perché Demanio e Municipio non si accordino per consentire al vecchio Castello di tornare a vivere di luce propria. Si vede che anche allora era difficile trovare una sistemazione alle strutture militari cadute in disuso.
La soluzione la si troverà qualche anno dopo e ne troviamo notizia sul Secolo XIX del 28 giugno 1889, dove si dice che il Demanio ha ceduto al Comune il Castello per la somma di 8660 lire, perfezionando un accordo stipulato quasi tre anni prima.
Così l’antico forte riprende una nuova vita dopo che nel 1852 il Ministero della Guerra l’aveva ceduto al Demanio dichiarando inutile per ogni funzione militare.
Ma quanto ci sarebbe voluto per risorgere veramente!