Nel ’71 Borges, maestro della letteratura del Novecento, pubblicò “Il libro di sabbia”, “un libro infinito e mostruoso”, diverso ad ogni lettura. Come la sabbia, se ne ignora il principio, né se ne conosce la fine. Ogni pagina genera fogli nuovi in un fluire incessante di conoscenza perché è “un ipervolume composto da un numero infinito di volumi”.
Interpretato da tanti come una visione profetica della Rete globale (non sfuggii al fascino di quella lettura in un saggio di qualche anno fa), mi piace oggi pensarlo quale metafora della biblioteca, il luogo dove i tanti libri (innumeri granelli) compongono come caleidoscopio figure sempre cangianti.
Al libro Borges pone come epigrafe mezzo verso di George Herbert, poeta del Seicento: la tua corda di sabbie. Sembra una contraddizione in termini, ma l’apparente nonsenso è il legame che unisce tanti atomi scomposti in una continuità dove acquistano densità, forza, consistenza.
Nell’80 Eco pubblicò “Il nome della Rosa”. Fra i tanti protagonisti, vi è, silente, la Biblioteca. Presenza possente, maestosa, inquietante, è luogo dell’azione e custode di segreti che attirano i personaggi. Lì si custodiscono i libri, lì risiede il Sapere. È conservata come l’Arca del Patto o l’Albero della Conoscenza i cui frutti Iddio vietò di assaporare ai due abitanti del giardino di Eden ché non si facessero arbitri di Bene e Male. Nella Biblioteca non tutti i volumi si possono leggere e c’è, celato in arcano mistero, un libro proibito la cui lettura indurrebbe il mortale a non rispettare più i confini che Altri pose.
Il libro termina con un immane rogo che cancella la Biblioteca e i tomi che custodiva.
Fra le tante letture che del romanzo di Eco sono state date (l’esegesi, mai unigenita, ha sempre sorelle) si può dire che l’incendio punisce chi vuole detenere per sé solo il potere della conoscenza, chi vuole eliminare il confronto, la crescita comune, chi pretende l’esclusivo possesso della verità conservandola immobile nel tempo, mentre questa invece è processo in continuo divenire.
Non ho idea di quanti volumi contenga la nostra Biblioteca, né quanti la frequentino. Ma quando ci vado, faccio fatica a trovare posto. Molti sono i giovani; i più studiano su propri testi; chissà se anche consultano i libri conservati. Ma non conta, conta che riconoscono in questo edificio un luogo condiviso di aggregazione sociale, crescita della conoscenza, educazione intellettuale.
La Biblioteca oggi non è più lo stanzone dove si consultano le pubblicazioni richieste. Dev’essere struttura agile dinamica operosa, dove si realizza la crescita collettiva. La Biblioteca è la cultura; qua si formano abitudini mentali, si crea un linguaggio partecipato, sorgono abiti intellettuali condivisi. Da qua scaturisce l’identità culturale del territorio, non dalla torre d’avorio di chi è convinto di sapere già tutto.
Se si batte la strada virtuosa, certo nella suola delle scarpe si raccoglieranno granelli di sabbia. Niente paura: formeranno una corda.
Una storia spezzina
Le sabbie della conoscenza
di Alberto Scaramuccia - La biblioteca civica, 2