Tanti ritengono il conflitto russo-nipponico del primissimo Novecento, la prima guerra moderna per l’uso delle nuove armi offerte dallo sviluppo tecnologico ai contendenti. Altrettanti pensano che il triste primato spetti alla Grande Guerra che si combatté con aeroplani che bombardavano, gas tali che anche i cavalli avevano le maschere, carri armati che solcavano i campi di battaglia. Io sono convinto che, a differenza di quanto comunemente si pensa, il mestiere più antico dell’uomo è stato la ricerca di nuovi strumenti per meglio offendere il vicino, per cui ogni guerra è moderna.
Certo una novità della Grande Guerra fu l’uso della propaganda psicologica esercitata dai Governi sulla pubblica opinione per convincerla della bontà della scelta fatta e motivarla alla collaborazione attiva. L’operazione si fa per lo sviluppo della stampa: le testate si moltiplicano, la gente legge perché è scolarizzata, si forma un pensiero collettivo che è meglio indirizzare a priori.
Anche sui giornali spezzini, non appena l’Italia interviene, molti articoli spiegano al lettore la necessità della scelta: se ne convinca e faccia la sua parte anche se non va al fronte. Tutti sono utili e, soprattutto, devono rendersi utili. In ballo ci sono i valori che hanno fatto grande l’Italia nel passato più o meno recente e che sono adesso pesantemente insidiati da un nemico subdolo e maligno: è questione di civiltà, insomma. Per questo, si comincia a frugare nella storia per spiegare quanto fu infausta la presenza degli Austriaci nella Penisola, dal Risorgimento alle guerre napoleoniche, a Balilla. La stampa cittadina si mobilita quasi compatta (unica eccezione è il foglio anarchico): tanto s’era mostrata apaticamente indifferente fino a che il Paese era rimasto neutrale, altrettanto modifica radicalmente la propria linea impegnandosi a spada tratta per sostenere le ragioni dell’intervento. Che ci sia una spinta dall’alto a supportare questo atteggiamento, lo dimostra, per esempio, il fatto che su due giornali spezzini (Giornale e Corriere), dall’opposto orientamento editoriale, compare a fine giugno (un mese dopo l’entrata in guerra) un articolo identico anche nel titolo “Patriottismo e Tornaconto”.
Il pezzo sostiene che la caratteristica che fa moderna la guerra che si combatte, è che non è più guerra di eserciti, ma di popolo: tutto va mobilitato per conseguire il “supremo fine” che è la vittoria. Nessuna risorsa deve essere sprecata ché è necessario ogni contributo per raggiungere un tale scopo. Quello che l’articolo rivolge non è un appello e neppure un invito; è un ordine tassativo affinché nessuno si tragga indietro: da chi rischia la vita al fronte, a chi, rimasto a casa, lavora diligentemente per fornire ai combattenti quanto serve. E poi c’è l’invito a sottoscrivere il prestito lanciato dal Governo: anche così si è patriottici e si favorisce il proprio tornaconto.
Per capire la grande mobilitazione che supportò lo sforzo bellico, non si dimentichi la stampa, arma moderna.
Una storia spezzina
La stampa, l’arma moderna della Grande guerra
di Alberto Scaramuccia