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Una storia spezzina

La scomparsa dei ‘dodici apostoli’

di Alberto Scaramuccia - Forte Santa Maria, 2

Golfo dei Poeti

(…prosegue)

Il forte di Santa Maria, proteggendo l’ingresso del Golfo, nel periodo delle guerre napoleoniche dava così tanta noia agli Inglesi che nel giugno del 1800 gli mandarono contro un paio di navi per renderlo inoffensivo. Perché proprio in quell’occasione? Il 14 di quel mese l’allora solo Primo Console Napoleone, durante la seconda campagna d’Italia, aveva sbaragliato gli Austriaci a Marengo imponendo un pesante armistizio in base al quale entro il seguente 24 i Francesi, tra le altre cose, avrebbero rioccupato la Liguria persa dieci mesi prima prendendosi le artiglierie rimaste. Per sventare il pericolo gli Inglesi, alleati di Vienna, fanno rotta verso Santa Maria, abbandonata dagli Asburgici e prossima ad essere occupata dai Francesi, per minarla e impossessarsi di tutte le bocche da fuoco, fra cui spiccavano dodici artistiche colubrine in bronzo, opera di Pompeo Rocca, soprannominate i dodici Apostoli.
Per Falconi, lo storico spezzino cui spesso ricorro, la fortezza venne minata dagli Inglesi la sera del 24, dopo che il giorno precedente avevano fatto lo stesso servizio a Torre Scola, il piccolo fortilizio pentagonale davanti alla Palmaria. Intervengono, quindi, “In tempo utile”, rispettando i termini temporali dell’armistizio cui erano in qualche misura obbligati pur non avendolo firmato.
A questa versione si è accordata la storiografia successiva, compreso Mazzini che, si sa, quanto a precisione e date non scherzava.
Quindici anni fa, però, il professor Franco Marmori, grande studioso delle cose nostrane, in un ponderoso saggio su Santa Maria, affermò, sulla scorta del diario di bordo di una delle due navi inglesi che avevano partecipato all’operazione bellica, che solo il 26 i due legni ripartono, e in tutta fretta, per Livorno, porto amico. Essendo oltre i termini stabiliti, si tratterebbe di un caso di pirateria in quanto l’intervento fu effettuato in spregio agli accordi stipulati.
La velocità nella partenza (sapevano di essere fuori tempo massimo) ci può forse anche spiegare perché, nonostante il minamento, il forte regge subendo lesioni solo nell’angolo nord-est ché il fuoco, dice Falconi, non si attaccò a tutta la polvere. Restò solo una cicatrice in quella parte di mura che ritroviamo nel plastico che poco dopo i cartografi francesi realizzarono del Golfo, il plan de relief tuttora conservato agli Invalidi a Parigi.
Anche se non si rende conto che la fonte che usa non concorda con Falconi, Marmori fornisce comunque un tassello che, per quanto piccolo, non si ritrova in nessun manuale di Storia, abbia o no l’iniziale maiuscola.
Resta la questione delle colubrine. Per Falconi finirono nella Torre di Londra; Marmori le segue fino a Minorca, allora base degli Inglesi che le tengono saldamente opponendosi alle pretese del Granduca di Toscana che le rivendica per sé.
Unica certezza è che Santa Maria dava tanta noia a chi non l’aveva, che quattordici anni dopo gli Inglesi ci riprovarono. Ma questa è storia per la prossima puntata.

(Continua…)

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