Una delle cose per cui cento anni fa tanto discussero gli antenati, era il gran numero di imboscati che se ne rimanevano a casa invece di andare come i più al fronte. Per tanti motivi, salute, necessità familiari se veramente gravose, lavorare in fabbriche impegnate nella produzione bellica: tanti furono esonerati perché erano alla Terni o al Muggiano dove si produceva per la guerra. Tutta ‘sta gente era obbligata a girare con una fascia tricolore al braccio ché nessuno s’indignasse vedendoli a spasso: quello era il modo con cui combattevano per la Patria. Operai militarizzati, dunque, ma chi aveva i cari a rischiare la pelle, provava tanta invidia e rabbia ed era forte il sospetto di raccomandazioni e aiutini che li avevano dispensati dall’andare a combattere.
I più accaniti interventisti manifestavano pari sdegno nei confronti di un altro tipo di imboscati, quelli che non sottoscrivevano il prestito nazionale a favore dell’Italia in guerra. In un momento in cui si dava l’oro alla Patria e si raccoglieva di tutto, perfino le ossa degli animali per raggranellare qualche soldino utile a sostenere l’immane impegno della guerra, tenere le lire nel materasso era considerato atto di alta infedeltà oltre che una sciocchezza dato che investire nel prestito era considerata operazione economicamente assai vantaggiosa dal momento che fruttava il 5%.
Ovviamente, non tutti mostravano uguale sentire patriottico: gli operai erano ben contenti di rimanersene a casa a lavorare e chi non aveva soldi per mangiare, aveva difficoltà con l’imprestare.
Ma dove l’esecrazione si manifesta quasi globale, è nei confronti di chi diserta o, peggio, di chi è in combutta con il nemico. Il traditore è condannato alla fucilazione alla schiena, massimo del disdoro, ed il suo nome viene pubblicato con risalto sui giornali ché su di lui e sulla di lui famiglia ricada lo sprezzo unanimemente condiviso. A maggiore onta, è coinvolto nell’ignominia pure il territorio capace di aver generato siffatto mostro.
Per questo, quando è condannato per tradimento un certo Dante Pegazzano che i giornali spacciano per spezzino, la stampa locale si affretta a precisare che non si tratta di uno Sprugolotto, bensì di un abitante di Fezzano con il padre per di più originario di Telaro (ma con quante “ele” si scrive?). È salvo così l’onor patrio e gli Spezzini vanno orgogliosi di non essere contaminati dalla vergogna di uno che è a loro straniero.
Notoriamente, infatti, la Spezia è altra cosa rispetto alle località del Golfo con cui non si hanno punti in comune, né s’intesse relazione alcuna.
Una storia spezzina
La Spezia contro disertori e traditori
di Alberto Scaramuccia