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Una storia spezzina

L’Imperatrice senza Impero

di Alberto Scaramuccia - Virginia, 1

Virginia Oldoini

Venerdì prossimo è un anniversario triste. Il 28 novembre di 115 anni fa, infatti, era un martedì, scomparve Virginia Oldoini, la Contessa di Castiglione, una protagonista a suo modo del Risorgimento. Per gli Spezzini di allora era la Rapallina per la discendenza dall’antica famiglia di proprietari terrieri; per gli ormai più che maturi della mia generazione è Nicchia, come veniva chiamata in uno dei primi sceneggiati TV con Virna Lisi a darle fattezze e credibilità.
Chiamata come lo si preferisca, Virginia (ma aveva altri sei nomi di battesimo) entra nella storia quando nel 1853 la famiglia reale trascorre qua l’estate. Lei, poco più che sedicenne, è, racconta la cronaca, protagonista indiscussa della stagione per avvenenza, fascino, spregiudicatezza. La vuole per moglie il nobile Francesco Verasis, ma a lei non basta. Troppo consapevole di sé per accontentarsi di palcoscenici di provincia, pensa in grande, vuole Parigi, la capitale del mondo di allora, ed è pronta quando Cavour la invia là.
Non dirò una storia già nota, né penso che senza di lei l’Italia non sarebbe diventata nazione: la storia non la fanno i singoli individui per quanto attraenti siano, ma il concorso di più fattori che trascendono le singole persone: economia, tecnica, sviluppo, mercato. Dico solo che la definizione forse più calzante è l’essere stata un’Imperatrice senza Impero: irretì Napoleone III, contribuì a fargli esercitare le scelte care a Torino, ma non ebbe mai il ruolo che solo un titolo avrebbe giustificato.
In autunno cadono secche a terra le foglie che in estate abbiamo visto brillare verdeggianti sugli alberi e anche Nicchia, la Rapallina conobbe presto il tramonto.
Tornò a casa e nel palazzo avito nel Campo degli Agostiniani visse quasi rinchiusa: usciva solo la sera ché nessuno vedesse l’aspetto mortificato dall’oltraggio degli anni, e per evitare le canzonature dei ragazzacci di strada che, ignari del rispetto, la sbeffeggiavano senza pietà.
Troppo insofferente d’ogni dove ché nessun luogo riusciva a mitigare quel groviglio di spiriti che le ruggivano dentro, era spesso anche a Parigi e fu nella Ville Lumière che chiuse gli occhi nell’ultimo sonno, quello che ai sogni non dà ricetto, né agli incubi.
Mancavano 33 giorni al nuovo Secolo che fu poi definito secolo della luce elettrica.
Ho sempre pensato che Virginia non lo volle vedere. Lei era figlia delle candele, del loro chiarore delicato che le accendeva il rosato sulle guance, faceva brillare le lievi goccioline dei vorticosi valzer facendole assomigliare al delicato perlage dello champagne figlio di buona cuvée. La lampadina avrebbe soffocato i suoi colori annegandoli nella tavolozza che mischia tutto e nulla fa risaltare nello specchio che Nicchia si portava dentro e che continuava a risponderle “Sei la più bella”.
Perché ognuno di noi, come Virginia, ha ben nascosto in una “nicchia” del suo pensiero un suo specchio segreto dove conserva di sé l’immagine più bella che ha, non conta quanto reale sia.

(Continua…)