Giusto fra due giorni ricorre il centenario della battaglia di Caporetto che fu anche il dodicesimo scontro sull’Isonzo. Anche i digiuni della storia sanno che quel combattimento iniziato in Slovenia e finito sul Piave, fu sconfitta tremenda perché caporetto con la minuscola è divenuto sinonimo di sconfitta rovinosa e disastro immane: quante partite degli azzurri, ahinoi, sono state chiamate caporetto!
La sconfitta con la resistenza che ne seguì, cambiò il volto della guerra che da allora divenne di tutti, anche di chi l’avversava. Il senso della pericolosità della situazione che immediatamente ogni Italiano capì, determinò un diverso atteggiamento proprio perché, a differenza di quanto era successo nel ’14 quando i fronti della guerra sembravano distanti, in quel momento il rischio dell’invasione era palpabile e si capiva che, se avessero vinto loro, tutto il Bel Paese avrebbe vissuto peggio.
Quanto alla Spezia cambiò il sentire rispetto a prima della rotta, non è facile dire perché la stampa locale che conserviamo, specchio dell’opinione pubblica, era tutta favorevole, pur da prospettive non uguali, alla guerra. Infatti, anarchici e socialisti del PSI che rappresentavano l’altra campana, non hanno un organo d’informazione locale che ci ragguagli sui loro orientamenti.
Però, di una cosa possiamo essere sicuri: gli antenati non si fecero pregare per manifestare la loro solidarietà verso quell’esodo di gente che scappava senza più niente dalle loro terre invase cercando un rifugio nelle zone lontane dal combattimento.
Di quei veneti e friulani in fuga, credo che proprio pochi siano arrivati qua: non perché respinti, ma perché impediti dalla legge che proibiva la presenza di profughi in una piazza di guerra quale la Spezia era già diventata da quattro giorni prima del 24 maggio.
Tuttavia, di una cosa siamo certi: nessuno si tirò indietro nel mettere mano al borsellino e nessuno fu accusato di avere il braccino corto. Si pensi che in un paio di mesi si mettono insieme oltre 200mila lire. In quei tragici frangenti, la Nazione in guerra era incessante nel chiedere contributi perché i soldi che non bastano mai, allora bastavano meno del solito. Si raccattavano perfino gli stracci e le ossa delle bestie macellate per poi rivenderle e raggranellare qualche soldino per la Patria, si sottoscrive per il Prestito nazionale, si offre per le famiglie dei richiamati e nessuno dimenticò mai gli orfani del Garibaldi che furono sempre figli della città.
La vita aumentava e le paghe erano misere, ma per il nord est cacciato da Casan nessuno mai tirò indietro la mano.
Una storia spezzina
Il sostegno spezzino ai profughi di Caporetto
di Alberto Scaramuccia