Nel febbraio 1967, nelle edicole spezzine compare il “Corriere spezzino e della Lunigiana” che si propone di rappresentare la città e lo storico retroterra che le fu matrice. Già alla prima uscita la firma prestigiosa di Bruno Della Rosa auspica la nascita della regione Emiliana-Lunense che riceve entusiastici consensi da Reggiani, Parmigiani e Spezzini, mentre Piacenza e Modena sono contrarie.
È il sogno nel cassetto mai avverato, ma sempre coltivato di sottrarre la Spezia al legame sgradito con la Superba. Ancora permane la memoria della ferrea soggezione con cui la Lanterna teneva la Spezia cui era permesso di ricavare dal mare per la vendita, solo il sale dovendo quel prodotto, indispensabile per la conservazione degli alimenti, essere abbondante e di pronta reperibilità.
Per questo negli Spezzini ricorre puntualmente, quasi fiume carsico che appare e poi si interra, il sogno, o la tentazione, di una maggiore autonomia istituzionale da raggiungersi con i più diretti interlocutori commerciali. Torna alla luce con una periodicità dettata o da un raggiunto benessere economico o, al contrario, paradossale uguaglianza, quando il sistema vacilla o minaccia crepe profonde. Così, questo miraggio, destinato (almeno fino ad ora) a rimanere pura ombra, lo vediamo affiorare alla fine dell’Ottocento quando la Spezia era ancora parte della provincia di Genova. È una velleità improponibile, ma costituisce anche l’espressione tangibile della volontà di riscatto e di emancipazione, il desiderio di toccare finalmente la maggiore età che tarda a venire. Del resto, qualche volta ne avvertiamo dei rumours non troppo sopiti anche oggi che siamo a oltre 150 anni dall’Unità e quasi altrettanti dall’inaugurazione dell’Arsenale.
Comunque, al di là di queste frettolose considerazioni di carattere storico, va detto che quell’articolo rimarcava come esistessero motivazioni storiche a suggerire la creazione del nuovo Ente. La Spezia era storicamente il porto di Parma al cui ducato già il Congresso di Vienna avrebbe voluto accorparla, progetto che poi svanì per la decisa opposizione dell’Austria. Ma la riflessione sul già stato sarebbe potuta risultare una mera esercitazione letteraria, non fossero intervenute stringenti motivazioni di carattere economico che in qualche modo richiamavano a metà anni Sessanta del Novecento le condizioni di costrizione che applicava Genova negli anni del suo dominio.
Allora era la necessità del monopolio; nel 1967 era il triangolo industriale che strozzava i traffici non indirizzati verso i suoi vertici. Ciò spiega tanto l’adesione al progetto della nuova regione di Parma e Reggio, quanto l’opposizione delle altre province emiliane.
Le cose poi sono andate come sono andate: quello che si sperava non si è realizzato, parlare dei tempi del boom del triangolo industriale è come raccontare la favola bella che sempre ci illude, però ogni tanto il vizio assurdo della nuova regione apuana fa capolino e accarezza i nostri sogni.
Una storia spezzina
Il sogno mai svanito della regione Emiliana-Lunense
di Alberto Scaramuccia