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Una storia spezzina

Il jeans negli anni Settanta, rottura od omologazione?

di Alberto Scaramuccia

Import 2018

Ier l’altro, avendo deciso di arricchire la mia collezione di jeans, ne ho acquistato un paio nella nuova foggia che ormai caratterizza quasi tutti i pantaloni di quel tipo: elasticizzati, utili a contenere la pancia ma intricati nel toglierli, e skinny, a pelle traduciamo noi anziani memori di come quarant’anni fa li chiamavano i ragazzi dello zoo di Berlino.
Mentre li provavo compiendo operazioni complicate, ricordavo con nostalgico disappunto i jeans che si portavano su capelli lunghi e barbe incolte. Bassi in vita e rigorosamente a zampa d’elefante, Stefania me li sfrangiava in fondo sì da creare una fitta rete di balze. Quasi metafora della chioma che calava oltre le spalle, le frange scendevano sul mocassino, le sneakers servendo allora solo per le attività ginniche: al tempo solo il poveraccio (ricordi il poeta Jannacci?) purtava i scarp del tennis.
Poi m’impreziosiva l’orlo, massimo della dissacrazione, con una guarnizione comprata in merceria, di fiori di vistosi colori. Usava così: ci mantenevamo sessantottini senza dimenticare di essere anche flowers children.
In questo modo andavo in giro, anche a scuola, suscitando se non scandalo, certo disapprovazione presso i docenti di maggiore età, almeno quanto era il favore con cui mi guardavano i discenti di cui non ero molto più anziano.
Quel pantalone voleva essere rottura con il passato mentre si apprestava a diventare fattore omologante, proprietà comune, usato da tutti. Non passò molto tempo perché il mondo indossasse il jeans che non rappresentò più la contestazione, ma proprio il suo contrario. Un po’ lo diceva Pasolini che stavamo diventando tutti uguali; il mondo giovanile cui pian piano cascavano con i capelli anche le illusioni, pensava invece di aver vinto la sua battaglia almeno nell’abbigliamento.
Eppure, il modo di vestirsi è un po’ come lo sport di cui dicevo domenica scorsa. Sui libri di storia quasi non ne trovi traccia anche se l’abito che s’indossa è uno degli elementi più importanti che caratterizzano e permettono di meglio conoscere ogni società, specie la nostra che sul consumo dei capi di abbigliamento regge molta parte della sua economia.
Il fatto è che spesso, forse anche per un po’ di spocchia, l’occhio di chi ricerca si ferma solo su quello che è contenuto negli archivi che vengono considerati una fonte primaria, senza riconoscere pari importanza a tutti quegli altri registri che concorrono a determinare l’aspetto di un periodo storico, per di più essendo magari anche essenziali per determinarne l’economia, il pensiero, la vita di relazione.
In una parola, la politica.