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Una storia spezzina

Il giardino dell’Eden e le sue contraddizioni

di Alberto Scaramuccia - Arsenale, 4

Il sole sorge sul Golfo

(…prosegue)

A conclusione delle riflessioni esposte nelle precedenti puntate, sono proprio convinto che nella storia sono esistite due Spezie. Una nacque quando nel 1343 ottenne l’autonomia giurisdizionale, dell’altra l’atto di nascita fu stilato il 28 agosto 1869, quel sabato benedetto (o maledetto, secondo i punti di vista) in cui si abbatté l’ultima chiusura e l’acqua salsa, non più trattenuta, entrò nel grande invaso scavato dov’era stata fino ad allora terraferma e dove da allora fu mare.
Fra le due fasi ci fu rottura, per cui si può ben dire che la città viene non solo rifondata, ma portata alla luce di una vita nuova e diversa ché da quel lontano sabato di 140 e passa anni fa dell’antico sopravvive ben poco.
Già ho detto che cambia la popolazione che abita il territorio e con essa la parlata e lo stile di vita.
Aggiungo che si tratta di un territorio diverso, e non solo per la darsena creata artificialmente. La città che s’era caratterizzata nei secoli per il suo aspetto di piccolo borgo racchiuso fra quattro mura, ora deve dilatare gli spazi per accogliere quanti arrivano, le loro esigenze, le loro aspettative. Con le mura cadono i simboli che avevano caratterizzato nei secoli la Spezia e suggerito tanto: espressioni all’idioma, consuetudini tanto vecchie da essere ormai giudicate ancestrali, ritmi di vita adeguati alla modestia delle dimensioni.
L’ultimo di quei tratti distintivi a scomparire fu lo sperone dei Cappuccini (Cristo Re). Arrivava fino al mare, dal 1927 si cominciò a tagliarlo. Ma già in precedenza altri tratti caratteristici se n’erano andati modificando dal profondo l’aspetto del territorio.
Ma è soprattutto l’economia che cambia con il prevalere di modalità produttive che impongono nuovi modelli che nulla hanno in comune con il passato. È l’industria che arriva nel piccolo mondo antico che aveva fino a quel momento vissuto di lavoro dei campi, qualche opera di artigianato, un po’ di attività estrattiva. Il mondo della fabbrica lo porta l’Arsenale che è volano per la venuta di nuove ciminiere mentre si progetta il porto che l’apertura di Suez ha reso opera quanto mai redditizia.
La leadership la esercita ora, espressione della realtà economica che si è prepotentemente impossessata del territorio, una nuova classe dirigente legata all’industria ed in cui, almeno nei primi decenni, primeggia la Marina. Diventata la vera padrona del territorio, è impegnata a guidarlo mentre fronteggia le istanze rivendicative dei ceti produttivi indigeni. Non è più l’antica proprietà terriera, ma è un ceto imprenditoriale che, inizialmente legato alle commesse militari, ben presto si orienta verso spazi diversi ed altre possibilità lavorative slegate dai giri di bitta. Non intendono assolutamente abdicare al proprio ruolo, ai propri progetti, alle proprie iniziative imprenditoriali. E alla fine la spunteranno, anche se a nessuno verrà in mente di gettarsi sul turismo, la tormentata questione da cui è nata tutta questa serie di riflessioni. Sembra il giardino dell’Eden, ma ci sono anche contraddizioni. E dove mancano?

PS: questa è la puntata n° 200 della rubrica. Ringrazio chi mi legge e chi mi permette di essere letto. Come scrissi cento numeri fa, aiutatemi a soffiare sulle candeline. Sono tante. Ma risparmiate un po’ di fiato: il 300 è appena dietro l’angolo!