«Tregua di Natale» è una bella mostra esposta nell’atrio della Prefettura, che l’ha organizzata con la consueta sensibilità culturale che spiace altri non denotino in pari misura.
L’esposizione (foto, cimeli, una lettera di Nazario Sauro) ricorda come 100 anni fa, primo Natale della Grande Guerra, in alcune zone del fronte, i combattenti delle avverse parti sospesero le ostilità. Fraternizzarono, almeno per un attimo, dimenticando nei brevi istanti quanto fosse sottile il filo che li legava alla vita. Fu un fatto spontaneo: tanti soldatini, calcassero l’elmetto chiodato o la padella schiacciata, protestarono contro l’assurdo conflitto di cui non riuscivano a comprendere il perché. La cosa non riuscì gradita ai rispettivi Alti Comandi che intervennero con mano pesante.
Bella mostra, molte possibilità di riflessione.
Tuttavia, dello “sciopero” al fronte non trovi eco sull’antica stampa dell’epoca che sul conflitto dice poco. Lo guarda distaccata, come se la cosa non interessi. Forse ne tace per esorcizzare la grande paura di essere coinvolti nello scontro che si spera non contagi il nostro Paese. Al momento la maggior parte dell’informazione locale fa voti per il prevalere della neutralità, meglio se contrattata con i belligeranti.
Ecco che allora (quasi che nascondere la testa sotto la sabbia elimini ciò che è in arrivo) gli argomenti che più ricorrono sulle antiche pagine nostre, sono il porto, ormai considerato da tutti fattore primario per lo sviluppo, e la diatriba politica fra chi sostiene la Giunta e chi invece la critica.
Così, al Natale la stampa spezzina d’antan riserva pochi accenni, ma tutti collegati al triste momento che si vive altrove.
Sono tre testate a dirne, con articoli non lunghi che affrontano l’argomento secondo la propria ottica: la propaganda prevale come quasi sempre sull’esposizione. Il giornale anarchico titola “Natale di sangue” per dire dello scontro fra poveri cristi; il cattolico ricorda l’invito alla pace rivolto ai popoli da papa Benedetto XIV; la borghese “Gazzetta” auspica che la ricorrenza ispiri buon senso a chi guida i popoli che per colpa dei capi «si macellano ignominiosamente».
Insomma, fanno gli auguri, sperano per il meglio, auspicano un futuro più roseo, ma quanto l’avranno creduto? Nel Paese non ancora toccato dalla guerra, ci si prepara per essere pronti nell’eventualità di giorni più bui. Come in ogni altra parte d’Italia, nella nostra città le onlus del tempo (famiglie, scuole femminili, gruppi di volenterose) preparano indumenti per i soldati: berretti da aviatore, sciarpe di 120 centimetri, guanti con il solo pollice, farsetti, ventriere, calze; si fanno persino i pettini. Il nostro è un esercito straccione che neppure ha da vestire chi manda a combattere.
Nel clima prebellico, quanta speranza c’era di restare neutrali? quanta fiducia negli auguri che ci si scambiava?
E quanta ne abbiamo oggi in quelli che ci facciamo in questi giorni?
Buon Natale a tutti, comunque, e visitate la mostra!
Una storia spezzina
Il Natale di guerra di un secolo fa
di Alberto Scaramuccia