Lunedì 1 maggio 1893 fu davvero per la Spezia una giornata particolare, una di quelle giornate (chi non ne ha avuta almeno una?) in cui senti il vento in poppa, la vita ti sorride e ti rendi conto che come te non c’è nessuno.
Quel giorno qui alla Spezia s’incontrano il re Umberto ed il Kaiser Guglielmo II. Capi di Stato di due grandi potenze, si devono vedere e per il loro convegno, accompagnati dalle rispettive consorti, scelgono proprio il Golfo e la città che gli fa capo certificandone così l’ormai raggiunta da un pezzo grandezza.
E la Spezia risponde alla grande. Agli illustri ospiti si presenta luminosa e splendente come non mai prima grazie anche al contributo di un don Helios raramente apparso così in forma. Dappertutto, dalle piazze ai balconi, è un tripudio di tricolori sabaudi e di aquile teutoniche, queste così tante da sembrare addirittura più numerose delle rondini che una volta, dicono, erano folla nel nostro cielo.
Le Loro Maestà girano il Golfo ammirandone roccaforti e postazioni fino all’imponente torre corazzata della Palmaria (oggi negletta Fortezza del Mare) che del Savoia porta il nome. Così, fra gite e cotillon si spende la giornata cui non manca il momento della commozione quando Umberto incontra don Strata, il parroco delle Grazie che 40 anni prima, quando bimbo soggiornava al Croce di Malta con la Real Famiglia per le bagnature estive, se lo portava in barca per ammaestrarlo sull’arte venatoria fra le onde.
A sera le coppie reali se ne vanno. L’una lascia dietro di sé una galassia di croci sabaude; dall’altra si aspetterebbero altrettante aquile che sotto forma di medaglie istorino i petti delle autorità cittadine, ma l’attesa è vana.
Sulla delusione che non tarda a comparire sui volti dei maggiorenti locali, intinge abbondante la penna sempre sapida di Ubaldo Mazzini, allora impenitente giovinottino scavezzacollo cui andava a pennello il nomignolo che da tempo era il suo marchio di fabbrica: Gamin che, per chi l’avesse imprudentemente dimenticato, in francese vuol dire monello.
Il ragazzaccio scrive che nello scontento generale, inaspettato ecco un pacco. Frettolosi ed impazienti lo aprono e dentro trovano una marea di distintivi con l’aquila teutonica su cui tutti si buttano per arraffarne una che gl’inorgoglisca il torace.
Così il panorama nostrano, conclude il Nostro, si riempie di friccialase, parola (chi non lo sa?) con cui in dialetto son detti gli scriccioli, gli uccellini minuscoli.
Curiosità: Gamin scrive friccialase, ma la parola sul dizionario spezzino compare con una sola c.
Pure questa è roba su cui meditare un po’.
Una storia spezzina
Il Kaiser e i fric(c)ialase
di Alberto Scaramuccia