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Una storia spezzina

Una storia spezzina

Ida, la bionda e dolce moglie di Severino Ferrari

di Alberto Scaramuccia

Severino Ferrari, Giosuè Carducci e Ida Gini

Un aficionado mi tira le orecchie perché ho parlato anche la volta scorsa di Severino Ferrari professione poeta, mentre di rado ho detto di colei che, compagna di vita, gli dettò non pochi versi.
Lui, sguardo fiero su ciuffo sporgente e baffoni imperiosi da gaucho, colto e raffinato, venuto da Bologna per insegnare al Liceo, appena giunto nel Golfo nell’82, frequenta la trattoria del padre di lei, La Confienza, sotto i portici di via Chiodo. Vederla e innamorarsene fu cosa sola. Dopo poco lei è protagonista del primo poemetto di lui. È Biancofiore, come l’eroina del Filocolo di Boccaccio. L’ho detto, lui sapeva assai e l’amava ancor più: per dirlo al mondo, usò la sua conoscenza.
Difficile trovare notizia su di lei: non solo io di lei ho detto poco.
Ida Gini, biondissima di una nuance che allora qua pochi conoscevano, era figlia di Antonio. Pisano, arrivò nel Golfo quando fervevano i lavori per l’Arsenale. Aprì una fiaschetteria in via Prione presso un negozio di musica e impalmò Camilla, ragazza di Beverino che gli diede sei eredi.
Delle due figlie Ida era dolce bella bionda: così dice la scarna cronaca.
Quando, morta la madre, Antonio si riaccasa, lei va a vivere con nonna Giacinta che teneva una mescita presso l’edificio dei bimbi abbandonati, la casa di via Roma davanti ai Salesiani che chissà quando ospiterà l’Archivio statale.
Severino appena arrivato al Liceo spezzino mangia alla Confienza appena aperta, una felice coincidenza che conduce i due, passato il giusto tempo, all’altare. Lei gli starà sempre accanto seguendolo nel suo peregrinare da insegnante.
Poi la malattia che in un doloroso percorso di disfacimento più che il corpo tocca la mente. Non riuscirà più a scrivere e sarà lei a vergare sulla carta per lui.
Prima Ida aveva condiviso con l’amato i Bordatini, il nome astruso del lavoro migliore. Il bordatino era il panno di cotone grezzo, il rigatino di strisce biancazzurre: per dire rime da poco, i suoi ossi di seppia, poesia intima e raccolta che però apre la strada a Myricæ, il tamerice umile arbusto del grande sodale Giovanni.
Poi il male irrispettoso che di Severino tocca la parte migliore. Finirà la vita nel 1905, la vigilia di Natale, nella casa di Collegigliato a Pistoia. Lei sempre accanto a raccogliere nel sospiro affannato le ultime rime e a dare notizie agli amici in ansia per la sorte di lui, lei che scrive a Pascoli parole che fanno intendere la pena: “puoi immaginare lo strazio, se solo potessimo immaginare una resurrezione…”.
Dopo la morte dello sposo, di Ida non sappiamo più nulla. Resta solo la bella storia di un amore infinito.

Post Scriptum: le due rare immagini che corredano l’articolo (Ida in compagnia di Carducci: lei sola e con lo sposo) appartengono all’Archivio di Casa Carducci di Bologna che ringraziamo per la gentile autorizzazione alla pubblicazione.

ALBERTO SCARAMUCCIA