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Una storia spezzina

Gli antichi vendemmiatori sospesi nel vuoto

di Alberto Scaramuccia

Vigneti delle Cinque Terre

Se per la Spezia il rapporto con il mare non s’è sempre rivelato idilliaco, figurarsi quello con la terra: una morfologia aspra e matrigna che l’ha stretta fra onde e vette, del resto l’identica sorte maligna toccata a tutto l’arco che dai monti sul mare dell’estremo occidente, corre fino alle propaggini opposte che biancheggianti di marmi vanno a confondersi nella sabbia di Versilia.
Della non felice liaison già ci dicono le lontane memorie degli antichi che spesso lamentano di quanto era complicata la relazione con la terra che vivevano.
Per rendersene conto, basta leggere, ad esempio, come il nobile Agostino Giustiniani, storico e geografo del Cinquecento, descrive in che modo i contadini delle Cinque Terre coltivavano la vite, obbligati a lavorare un terreno così tanto sassoso e scosceso che perfino la capra lo disdegna: troppo faticherebbe, infatti, ad inerpicarvisi sopra.
Ed ecco allora come “l’ingegnioso intelletto umano” riesce a risolvere il problema.
Al tempo della vendemmia quella brava gente si cala dalle rupi soprastanti la vigna, essendo legati “nel mezzo per una corda”. Imbragati in tale maniera, raccolgono i grappoli che sono così ripieni di sugo e zucchero che da essi ricavano il prodotto tanto rinomato al punto che, commenta Giustiniani, “non è Barone, Principe, né Re qual non si reputi in grande honore quando alla sua tavola si porge vino delle Cinque Terre”.
Certo, per arrivare a simil risultato la fatica è stata quasi bestiale, dovendo star chini sempre ad angolo retto. Più che lavoro è stato travagio dü-o, ma è dal sudore che nasce la fama di quel liquore che è celebre non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Il vino delle Cinque Terre deriva il suo aroma specifico dalle onde che sbattono sullo scoglio. Per essere state frenate nella corsa, da lì alzano al cielo la loro rabbia nella forma di mille e mille goccioline. Sfiorano le nubi e poi ricadono sulla pergola lasciandovi impronta salata, marchio doc che la insaporisce. Ma io penso che alla fragranza contribuisca anche il sudore che certo è corso copioso giù dalle fronti riarse e dalle schiene incurvate.
Non rifiutavano la fatica quei tutto sommato antenati nostri che per lavorare in condizioni più accettabili, si inventarono anche i muretti a secco, proprio quelli che la cronaca quotidiana c’informa essere imitati pur nella lontana Cina. E là, sì che ci capiscono in quanto a roba da copiare!
Aguzzare l’ingegno e non tirare indietro le spalle: questa la ricetta che gli antichi abitanti del nostro territorio escogitarono per andare avanti e superare la situazione difficile.
Non penso certo che, per oltrepassare i non pochi ostacoli che i giorni che viviamo quotidianamente ci oppongono, mettere in moto il cervello e accettare la fatica costituiscono rimedio sufficiente a valicare l’impasse, ma sono davvero convinto che sono una buona premessa per avviarci verso una via virtuosa affrontando gli impegni che ci attendono implacabili ogni giorno che viene, soprattutto anché.