LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto

Una storia spezzina

Da Bandecchi ai Boschetti, l’ultimo passo è breve

di Alberto Scaramuccia

Centoquarant'anni di storie e monumenti

Se nella Spezia di una volta andare da Pincetti significava che si finiva in gattabuia, chi andava da Bandecchi faceva ormai parte del mondo dei più. L’uno, custode delle carceri, aveva dato il nome alle prigioni cittadine, l’altro aveva diretto il cimitero: non però dell’attuale ai Boschetti, bensì del precedente che stava dove in anni più vicini a noi si fece il cinema più moderno della città: l’Astra, la sala che travolta dai nuovi divertimenti è stata trasformata, dopo lunga inattività, in supermercato.
Il Camposanto si fece lì per essere distante dalle mura il cui tratto più vicino scendeva dal castello fino a via Cavallotti. La nuova location la impose l’editto di Saint Cloud con cui Napoleone trasferì i cimiteri al di fuori delle città.
Però, quando la città cresce, se ne deve fare uno nuovo e si vagliano le possibilità. Così, nell’estate del 1866 il Consiglio Comunale verifica se fare il Camposanto a Vappa. Tuttavia, su suggerimento dei tecnici e della Commissione Sanitaria ed Artistica, l’idea è presto abbandonata: la natura argillosa del terreno e “la ventilazione dominante” sconsigliano di battere quella strada. Lo si delibera domenica 22 luglio: allora gli amministratori civici non si fermavano davanti alla festività.
Intanto, però, si era seppellito dovunque possibile.
L’8 giugno 1912 si eseguono lavori di sterro per le fognature fra le vie Chiodo e Persio e gli operai rinvengono resti umani. Interviene la penna di Ubaldo Mazzini che, ricordando come già s’erano trovate delle ossa poco distante nell’agosto del 1906, spiega che le misere spoglie erano di soldati, e delle loro famiglie, di un reggimento asburgico. Cacciato il 5 dicembre 1746 da Genova nell’insurrezione del Balilla, il reparto era riparato alla Spezia. Erano più di 1100 fra fanti e cavalieri; non pochi avevano con sé moglie e figli. Per un inspiegabile motivo scoppia un’epidemia non meglio precisata che miete vittime su vittime: muoiono come mosche. Dapprima, si seppelliscono sotto il sagrato di Santa Maria, poi, quando non c’è più spazio, si decide di inumare i Tedeschi fuori della porta del Carmine, nell’area compresa fra i canali di Piazza e del Fosso, i due rivi che scendevano lungo il braccio occidentale delle mura, dove oggi corre via Colombo. Mazzini dice di aver contato 99 seppelliti nei libri di Santa Maria fra soldati, donne, condannati a morte e bambini, fra cui una piccola di soli 10 mesi. L’ultimo, uno svizzero, è sepolto il 28 marzo 1747 e l’operazione impegna così tanto le casse del Comune che per fra fronte alle spese si deve impegnare l’argento di Santa Maria.