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Una storia spezzina

Conigli per i soldati, fiori per i caduti

di Alberto Scaramuccia

Centoquarant'anni di storie e monumenti

Le buone signore della meglio società spezzina in questo torno di tempo, 100 anni fa, s’industriano a costruire 30mila scaldarancio. Sono cubetti di carta pressata di 3, 4 centimetri di lato imbevuti di sego. In trincea basta inciderli con la baionetta o anche solo con fil di ferro e poi accenderli. Bruciano e ne bastano quattro per far bollire mezzo litro d’acqua, assicurano gli esperti. Per confezionarli serve la carta dei giornali, facile a reperirsi in un’epoca che non riciclava, ed il sego. Trovare questo invece è un’impresa ed ecco allora che i macellai s’impegnano a fornire il grasso animale finché duri la guerra.
È solo uno dei beaux gestes che gli Spezzini compiono per aiutare lo sforzo bellico.
Altre brave signore preparano indumenti caldi (maglie di lana, camicie di flanella, caschi, panciotti) per chi combatte sulle Alpi. Di chi è impegnato in queste attività, salta subito agli occhi l’impegno patriottico, ma quanti, che forse dubitavano della bontà della guerra, contribuiscono pensando che nel loro piccolo gesto aiutavano un soldato che stava nelle stesse condizioni di un loro caro altrettanto in difficoltà. Per questo l’impegno che gli Spezzini manifestano è quasi unanime e coinvolge tanti a prescindere dal giudizio che si dava sulla guerra in cui il Paese da ormai sei mesi era coinvolto. Sono tanto smaniosi di dare una mano che c’è anche chi s’ingegna ad allevare conigli la cui pelliccia è preziosa per foderare gli indumenti dei soldati e ripararli dal freddo. Se poi a qualche bell’ufficialetto che si pavoneggiava nel suo pellicciotto avessero chiesto “Conigio?”, avrebbe sempre potuto rispondere “Lapin!”.
Il coniglio è importante anche per la carne che non basta mai per nutrire la gente. Per questo si ripete a novembre il censimento dei bovini, già fatto qualche mese prima. Si vogliono salvare le fattrici troppo preziose per il latte di cui si riconosce la valenza alimentare, per tutti, di ogni età.
Pensare a chi è al fronte, vuol dire anche assistere i feriti e ricordare i caduti.
Per i degenti ogni occasione è buona per manifestare forme di vicinanza. Quando l’11 novembre ricorre l’augusto genetliaco del Re, le Dame girano per gli ospedali e distribuiscono dolci e sigarette, ma qualche fiore rimane sulle sponde dei letti. Per onorare chi ha perso la vita, gli si dedica un campo ai Boschetti dove si vuole anche erigere un monumento con targa che rammenti a chi di là passa, i loro nomi.
Gli Spezzini che vedono passare 600 prigionieri austriaci diretti in Sardegna, criticano la loro aria spavalda (ma quanto l’espressione di un volto è specchio fedele di un sentimento?); poi provvedono a mandare per Natale un pacco ai 14 conterranei, non tutti figli della Sprugola, rinchiusi nei campi di prigionia di Vienna.
Poi una notizia bella anche se con la guerra non c’entra nulla. Un giornalista, frugando fra le carte di Ruggero Leoncavallo, trova un inedito che Severino Ferrari aveva mandato al compositore perché lo musicasse.