Nessun paesaggio si mantiene immutato nel tempo e quando non è la forza della natura a modificarne l’assetto, allora sono gli interventi dell’uomo ad alterarne l’aspetto, spesso in maniera ancora più corrosiva dell’opera degli agenti atmosferici. Il guaio è che, purtroppo, nei tempi successivi al cambiamento, si smarrisce la memoria della configurazione precedente, fino a convincersi che quello che si ha sotto gli occhi, lo si è sempre visto così.
L’esempio più eclatante e vicino a noi nel tempo è la galleria Spallanzani di cui io stesso non ricordo la forma di prima del traforo della collina sebbene quella fosse una strada che percorrevo quasi ogni giorno perché in cima vi abitavano i miei genitori. E non dico nulla sul fatto che fosse stata tamponata alla fine della guerra dopo che il tunnel aveva servito da ampio ricovero contro le incursioni aeree: chi se lo ricorda ora che il tempo ci ha portato via tanti degli sfortunati protagonisti di quei giorni?
Se funziona così per le cose di ieri l’altro che chi ha 30 anni o meno non ha mai visto nella sua forma originale anche perché non c’è nessuno che glielo dica, figurarsi per le modifiche apportare al territorio molto più indietro nel tempo quando nel 1862 si aprì quella grande fabbrica che fu l’Arsenale Militare.
Dicendo delle chiese perdute ho già avuto modo di ricordare che dove ora ci sono darsena e bacini, era prima terra compatta. Oggi ci si rinfresca la memoria con foto e video che all’epoca erano sostituiti dalle carte geografiche che facevano le veci della moderna tecnologia.
Il paesaggio che vediamo era una grande piana coltivata con la concentrazione di chiesette di cui già si è detto, qualche sparuta casetta più ricovero di attrezzi che abitazione e tanti corsi d’acqua che dalle colline andavano al mare alimentando con diverse polle sorgive, non pochi mulini.
Là infuriarono impietosi i cavafanghi, ruspe del tempo, che scavarono senza posa per creare il grande invaso artificiale dove dopo qualche tempo si sarebbero costruite e allestite potenti navi da guerra. E con la certamente non poca terra di risulta, si colmò il litorale sì che la sua linea slittò più avanti allontanando dalla città le onde che prima quasi la lambivano.
Su questa complessa operazione che oggettivamente snaturò l’aspetto del territorio, è legittimo che si abbiano apprezzamenti differenti, di assenso come di diniego, ma il fatto è che se tu oggi chiedi ad uno spezzino di qualsiasi età che cosa c’era nell’area dell’Arsenale prima del mare, nove volte su dieci riceverai in risposta uno sguardo canzonatorio come per dire ma cosa te me dizi, belinòn?
Al termine di tutte queste considerazioni, è inevitabile la domanda (che fare?), ed altrettanto scontata la risposta: divulgare le informazioni per far sapere com’è andata. Certo, se questo compito se l’accollassero le istituzioni che a tale scopo sono preposte, sarebbe meglio.
Nel frattempo, portate pazienza e accontentatevi di queste righe che cercano di metterci una pezza.
(Continua…)